E’ stato a quel punto che ho concepito un diabolico piano per sbarazzarmi in maniera costruttiva di quei dieci palloncini gonfiati ad elio. Per “costruttiva” intendo in modo da non far sembrare la loro eliminazione una prevaricazione a mia figlia e, nel contempo, utilizzandoli per qualcosa di utile.
La mattina dopo ho cominciato a mettere una pulce nell’orecchia di mia figlia.
“Questi poveri palloncini! Vorrebbero essere liberi e volare in cielo ed invece se ne stanno chiusi qua dentro, senza poter volare. Perché non li liberiamo in cielo e, magari, ci attacchiamo un bigliettino con il tuo indirizzo; così, se qualcuno lo troverà, ti scriverà una bella letterina, no?”
Lì per lì, il piano non ha avuto successo. Ma ho insistito.
A metà mattina, mia figlia non era più totalmente contraria. A pranzo, l’idea la stuzzicava. A metà pomeriggio, dopo un salutare sonnellino, ne era addirittura entusiasta.
In breve, fatto un bel disegno colorato in cui era raffigurata una bimba che salutava con la mano e scritto il nome e l’indirizzo, abbiamo ripiegato il biglietto, lo abbiamo collegato alla cordicella dei palloncini con la pinzatrice ed abbiamo accuratamente incartato il biglietto con la pellicola per alimenti, per renderlo più resistente all’umidità e alla pioggia. L’operazione è durata a lungo perché ho fatto in modo che il peso del biglietto aumentasse fino a poco meno della spinta di galleggiamento dei palloncini (penso una cinquantina di grammi): provandola, saliva molto lentamente. Alla fine, dato uno sguardo al cielo ho rimandato la partenza della strana navicella fino a quando non ho verificato che c’erano le condizioni ideali per il mio esperimento, accampando varie scuse.
Alla fine, alle 17,32 minuti in punto, le condizioni erano finalmente quelle che cercavo. Così, io e mia figlia abbiamo condotto i dieci palloncini sul terrazzo e, dopo una breve cerimonia di addio, i palloncini sono stati rilasciati in cielo, fra strida di entusiasmo.
Condotto da un vento nordorientale piuttosto teso, il veivolo si è allontanato rapidamente salendo di quota molto lentamente, il minimo indispensabile per evitare tralicci ed alberi. Dopo un paio di minuti, era ancora ben visibile, penso ad una cinquantina di metri di quota. Poi, dopo cinque minuti, il vento lo ha condotto alla base di un grande cumulo congesto in rapida formazione sopra le nostre teste: una meraviglia di nube, con la base piatta e la sommità ancora rigonfia, ma già prossima a toccare i 6-7 km di quota. Il vento ha trascinato i palloncini ancora verso la verticale della nube, sempre a 50-100 m di quota.
Poi è avvenuto quello che speravo.
Improvvisamente, i palloncini sono entrati nella termica che generava il cumulo e – parola mia – sono schizzati letteralmente verso l’alto, trascinati dalle forti correnti ascensionali. Dieci palloncini sono comunque ben visibili anche a 2-3 km di distanza, per cui ho seguito l’inarrestabile ascesa dello strano aerostato che, ad occhio e croce, proseguiva ad una velocità di 80-100 km/h. Finché il puntino nero non è scomparso nella base della nube, per riemergere poco più avanti un po’ più di lato; qui, per qualche secondo è come ridisceso di lato, come se avesse per un attimo trovato una corrente discensionale, poi ha di nuovo preso la via delle altezze ed è scomparso definitivamente fra le nubi. Sacrificato in nome della scienza.
E’ stato a quel punto che ho capito che differenza sussiste fra una persona normale ed una malata di meteorofilia. Per la prima un palloncino può essere usato, come unica opzione, come gioco. Per la seconda è, sempre, una brutta copia di un pallone-sonda.
Io non ho idea fino a che quota possano resistere dei palloncini gonfiati ad elio. Certo, non oltre i 3-4 km, per cui ritengo probabile che il bigliettino accuratamente incartato si trovi ora a non più di 2-3 km da casa mia. Mi piace pensare, però, che ora sia in viaggio verso la Grecia, dopo aver solcato i cieli di Roma. Adieu!
State, però, sicuri che (nonostante il finale tragico) mi sono divertito molto più io di mia figlia.
