Quasi tutto ciò che sappiamo sugli antichi Umbri lo dobbiamo a questo straordinario documento, il più importante testo rituale giunto dall'antichità europea pre-cristiana fino ai giorni nostri.
Intorno al I secolo a.C. i magistrati della città di Gubbio, ormai municipio romano, fanno trascrivere su alcune tavole bronzee (delle quali se ne sono conservate sette) le modalità di svolgimento delle cerimonie rituali del collegio sacerdotale dei Fratelli Atiedii. Si ritiene che il corpus di tradizioni che così passa all'eternità risalga, almeno nel nucleo più antico, al VII secolo a.C., mentre le parti più recenti non andrebbero oltre il III.
Intorno al 1444 furono casualmente ritrovate e successivamente acquistate dal Comune di Gubbio; oggi si trovano nel Palazzo dei Consoli, esposte nel relativo museo e collocate in teche di vetro.
Alcune delle tavole sono scritte, come abbiamo detto, in grafia etrusca adattata alla lingua umbra. E l'adattamento era necessario, perché le due lingue, una indoeuropea (la nostra) e l'altra no, erano lontane fra di loro come oggi lo sono il basco e lo spagnolo: totalmente diverse, assolutamente incomprensibili fra loro. Le altre sono invece scritte in caratteri latini ed in stampatello, pefettamente leggibili anche per il lettore moderno.
Leggibili non significa comprensibili. Vanamente, come vedrete, cercheremmo corrispondenze con i dialetti umbri di oggi, i quali sono completamente derivati dal latino, semmai con influenze semantiche longobarde.
Dal latino l'antico umbro era distante, grosso modo, come l'italiano dal portoghese o dal rumeno: cugini, ma un pò lontani, di quelli con cui ci si vede di rado. L'antico Umbro apparteneva infatti alla famiglia linguistica osca, quella delle genti appenniniche; per capirci, era pressoché identico alla lingua parlata dai Sabini, e, ancor più a Sud, dai Sanniti.
Letto in traduzione, il testo è di una assoluta monotonia e ripetitività; i rituali ci fanno comprendere molte cose sulla vita e sulla religione umbra, ma dobbiamo affidarci alle complesse interpretazioni di generazioni di studiosi.
Ciò nonostante, ci si imbatte in particolari sorprendenti, illuminanti.
Il campanilismo delle genti umbre è di antica data, e questo non può meravigliare, in una terra articolata, fin dalla più remota antichità, in vere e proprie città-stato (in umbro tota) sul modello delle poleis greche.
Questo rapporto conflittuale, che abbiamo visto essere egregiamente utilizzato dai Romani, si nota attraverso le maledizioni rituali, in cui ci si imbatte abbastanza di frequente, pronunciate contro alcuni popoli vicini.
Queste maledizioni, in realtà, più che essere vere e proprie formule ostili di magia nera, erano un modo per circoscrivere i confini del popolo umbro, per riaffermarne con rituali l'identità.
Ecco il testo della più famosa e terribile maledizione, pronunciata contro i gualdesi (quale altra rivalità campanilistica europea è così antica?).
"Scerfie martier, Prestota Scerfia, Tursa Scerfia, totam tarsinatem trifo tarsinatem tuscom naharcom iabuscom nome totar tarsinater trifo totar tarsinater trifor (...) nerf scihitu anscihitu Iovie hostatu anhostatu tursitu tremitu hondu holtu ninctu nepitu sonitu savitu preplotatu preuilatu"
"Tu, Scerfo Marzio, e tu, Prestota Scerfia di Scerfo Marzio, e tu, Torsa Scerfia di Scerfo Marzio, impaurisci e fa tremare, sconfiggi e distruggi, uccidi e annienta, ferisci e trafiggi, imprigiona e metti in catene la Città di Tadino, quelli del territorio di Tadino, la nazione etrusca, quella naharka e quella iapodica".
Non vi sono mai stati dubbi sull'identificazione della "totam tarsinatem", né su quella "tusca". I "naharkus" sono quasi sicuramente gli abitanti della conca ternana (Nahar era l'antico nome del Nera), mentre qualche problema in più l'hanno creato gli "Iapuzkus", citati anche in altri passi come nemici tradizionali. Si ritiene generalmente che si tratti dei Piceni, più probabilmente di tribù dell'Appennino orientale non ancora indoeuropeizzate, delle quali tracce si riscontrano nel nome della tribù pugliese degli Iapigi.
Le Tavole sono piene di suggestioni e di notizie su un mondo che sembra abissalmente lontano dal nostro, ma che forse lo è meno di quanto possiamo pensare.
In questa galoppata ci torneremo spesso.
Basta andare su Google e potrete trovare tutte le notizie che desiderate.
Io però vi consiglio di andarle a vedere di persona, dopo esservi documentati ed aver cercato di comprenderne l'importanza.
Entrare in quella stanza, trovarsele di fronte, toccarle, girarle, leggerne le formule arcane è una esperienza assolutamente toccante e irrazionale, significa trovarsi di fronte al più remoto passato di ciascuno di noi. Duemilasettecento anni fa i nostri antenati recitavano quelle formule, e se vogliamo noi possiamo ancora recitarle insieme a loro (facciamo a meno delle maledizioni rituali, anche se allo stadio ogni domenica si sente di molto peggio).
E' questo il vero fascino delle Tavole Iguvine.
