Copenhagen fallisce già prima di cominciare.

Copenhagen fallisce già prima di cominciare.
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Messaggio Copenhagen fallisce già prima di cominciare. 
 
Sapete bene come la pensi in materia, ma questo mio messaggio non vuole e non può essere un "canto di vittoria", casomai un "te l'avevo detto"!
Il fatto è che, a mio modo di vedere, si è sbagliato completamente approccio al problema climatico-ambientale in partenza.

A parte la mancanza di basi scientifiche serie sul cambiamento climatico (di quelle pare non importi a nessuno)  si sarebbe dovuti partire da un concetto di tutela ambientale imprescindibile e non vincolato alla CO2, per creare un comitato internazionale in difesa della biosfera (e lì non mancano certo le prove sulle cause del degrado dell'ambiente e degli ecosistemi), cercando di far passare regole chiare e condivisibili sul rispetto e la protezione dell'ambiente e della salute umana.

Regole che costringessero i paesi e le aziende ad avviare una politica di controllo e di trasparenza sui processi di produzione, creando un comitato internazionale in grado di verificare e di comunicare all'intero mondo fatto di consumatori (che sono quelli che mandano avanti le economie dei paesi ricchi e in via di sviluppo, Cina compresa) chi fa bene e chi fa male (anche all'interno dei singoli paesi) per poter influenzare e condizionare pesantemente i profitti delle aziende in regola e non in regola. Un po' come avviene per il controllo delle armi, della proliferazione nucleare e per i diritti civili. E che potrebbe essere poi esteso anche alle emissioni di CO2, ma non solo!
Perché in un mondo dominato dal libero mercato c'è un modo potente di condizionare il mercato ed è nelle mani del consumatore.
Chiamiamolo pure una nuova espressione di democrazia in cui ognuno di noi, ogni volta che spende, afferma una propria volontà su un prodotto, con tutto ciò che sta alle spalle di quel prodotto, che si tratti di una politica ambientalista o sui diritti umani, ecc.
Se i consumatori iniziassero a spendere meglio i propri soldi, allora, molto probabilmente, il mondo intero ne beneficerebbe. Questa si che sarebbe una rivoluzione!

Invece a Copenhagen, come era previsto, si è finiti direttamente a parlare dei soldi che ogni stato dovrebbe mettere e, chiaramente, chi aveva più da perderci non c'è stato e ha deciso di prendere tempo.
Questo prendere tempo, tradotto in soldoni, significa non voler dire di NO prima del Vertice di Copenhagen, per non rischiare di fare la figura di chi ha mandato tutto all'aria.

Copenhagen, molto probabilmente, finirà con un "nulla di fatto" mascherato da successo, con numerose strette di mano, sorrisi ed "arrivederci a presto... siamo sulla strada giusta", per non scontentare e scatenare l'opinione pubblica.
Ma di fatto la strada intrapresa, dato che ognuno vede una propria strada giusta, non sembra portare al traguardo.

Mi dispiace soprattutto di una cosa, e cioè che molto probabilmente lo stesso Presidente Obama, che io ammiro e rispetto, pur avendo un'anima ambientalista (anche se male informato sul tema... "grazie" all'IPCC) non riesca a svincolarsi da interessi economici nazionali che lo condizionano irrimediabilmente.

Goodbye Copenhagen: Cina e Usa affossano i negoziati per il clima

Il presidente americano Obama e quello cinese Hu Jintao azzerano le speranze per Copenhagen. Il vertice sul clima del prossimo dicembre non partorirà alcun accordo per la riduzione delle emissioni di CO2. Tra convenienze economiche e geopolitiche, le due superpotenze sigillano il fallimento di una trattativa che ha troppi avversari.

Contrordine, colleghi e compagni: il clima non è una priorità. O per meglio dire: sarebbe una priorità, ma mancano solo ventuno giorni alla Conferenza di Copenhagen e metterci d’accordo ormai è impossibile. Tanto vale sancirlo. Così, in un pragmatico abbraccio, Cina e Stati Uniti afflosciano il fondamentale vertice sul clima di dicembre.
Lo fanno in separata sede, a Singapore, durante una colazione di lavoro a margine del vertice dell’Apec, l’organizzazione per la cooperazione economica dei paesi affacciati sul Pacifico. Un incontro al quale viene convocato all’ultimo istante il presidente danese Rasmussen, giunto in nottata solo per sentirsi dire che il ‘suo’ vertice non produrrà alcun accordo vincolante sulle emissioni.

In realtà la quindicesima Conferenza delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico sarebbe dovuta servire anche e soprattutto a questo: stabilire nuovi vincoli legali per le emissioni di gas inquinanti, superando il precedente Protocollo di Kyoto, i cui obiettivi di riduzione delle emissioni arrivano al 2012. Ma non c’è più tempo per mettersi d’accordo, sintetizzano Barack Obama e il presidente cinese Hu Jintao a Singapore.

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E del resto lo aveva testimoniato anche l’affannosa, ultima sessione di negoziati formali a Barcellona a inizio mese, che ha lasciato i partecipanti distanti e scontenti. Occidente contro paesi in via di sviluppo, nuclearisti contro sostenitori delle energie alternative, ruolo del mercato delle emissioni e stop alla deforestazione: sciogliere il garbuglio dei temi che ancora dividono paesi e gruppi di pressione sarebbe, ormai, probabilmente impossibile.

Dunque, Obama e Hu Jintao si tolgono dall’imbarazzo. Dicono che Copenhagen servirà a prendere un non meglio precisato accordo “politicamente vincolante”, una pezzuola utile per le conferenze stampa, ma che rinvia di fatto un nuovo trattato con valore legale. Forse fino a un nuovo incontro a Città del Messico, che potrebbe tenersi fra circa sei mesi.

Eppure sono almeno due anni, dalla Conferenza di Bali del 2007 e dalla relativa Road Map, che politici e negoziatori conoscevano la scadenza del dicembre 2009 a Copenhagen, e in vista della quale lavoravano. Un’urgenza scandita in questi mesi dai bollettini scientifici. Per contenere l’aumento della temperatura globale entro la soglia simbolica dei due gradi nel 2050, bisogna prendere iniziative rapide e radicali poiché – spiegava l’Ipcc, l’organismo Onu che si occupa del tema – il riscaldamento della Terra si sta rivelando più rapido del previsto. Come a dire: temporeggiare non ci è proprio permesso.  

Ma Stati Uniti e Cina, il temuto G2 che, secondo le geometrie variabili di una globalizzazione ancora senza governo, potrebbe diventare il ristretto direttorio mondiale, hanno scadenze diverse. Negli Stati Uniti, già alle prese con la vischiosa riforma della sanità, si è arenata in Congresso la nuova legge sul clima, che prevederebbe quelle restrizioni vincolanti sulle emissioni che al momento il paese non ha. La sua approvazione in tempo utile per Copenhagen è vissuta all’estero come un’irrinunciabile testimonianza dell’effettiva volontà del principale inquinatore pro capite mondiale sul tema ambientale, senza il quale tutti si sentirebbero in diritto di protestare e disimpegnarsi. Ma le lobbies americane e i loro politici di riferimento, in disaccordo su politiche industriali ed energetiche, sono ancora alle schermaglie negoziali. Di accordo sul clima per ora neanche a parlarne, con buona pace delle aspirazioni presidenziali.

Per parte sua la Cina vorrebbe mandare avanti gli altri. Americani ed europei hanno inquinato ben di più e più a lungo di noi, che siano loro a darsi per primi dei vincoli sulle emissioni, è il ragionamento. Così, mentre diversi imprenditori cinesi investono sulle tecnologie verdi – come il solare –, il governo cerca di diluire e posticipare il proprio impegno.

Nel contempo Hu Jintao difende il business di casa propria: esiste anche il timore che accordi troppo stringenti sul clima penalizzino soprattutto l’industria nazionale, essendo i processi produttivi cinesi in media assai più inquinanti di quelli delle nazioni occidentali.

Dunque, Cina e Stati Uniti ratificano la loro crescente intesa economica affossando Copenhagen. ObaMao – come è stato soprannominato il presidente nella sua nuova veste filo-cinese – è costretto a corteggiare il rampante collega e a fare i conti con i capricci delle lobbies americane. Mentre in Cina, per ora, il clima fa notizia soprattutto quando la pioggia o la neve vengono seminate in cielo attraverso la magia dei razzi telecomandati. E fra le due superpotenze l’Europa, pure moderatamente più volenterosa sull’ambiente, fa la figura del vaso di coccio.

Eppure sarebbe un errore ora attribuire il fallimento preventivo di Copenhagen solo all’intemperanza di americani e cinesi. I negoziati sul dopo-Kyoto proseguono da anni tra ipocrisia e indolenza, ed erano falliti ben prima dell’imboscata di Singapore. Il fatto è che proprio l’incompresa serietà del tema e la strutturale complessità delle trattative avrebbero meritato da prima ben altro approccio. Stati Uniti e Cina oggi hanno solo sancito una pluriennale apatia.

15 Novembre 2009



Clima, da domani a Copenhagen i ministri dell’Ambiente alla ricerca di un accordo


L’amore viscerale dei giornalisti italiani per il presidente Barack Obama è tale che siti internet e agenzie di stampa hanno usato il termine compromesso per descrivere l’umiliante resa senza condizioni degli europei di fronte al bidone tirato da Obama al resto del mondo con la complicità dei cinesi. Obama si è servito dello scudo della Cina, uno dei paesi con il maggiore livello di inquinamento della terra per coprire la sua rinuncia non troppo onorevole ai bei principi esposti in campagna elettorale.
Il verde e l’ambientalismo, un anno dopo l’elezione, hanno lasciato il posto a una bella dose di cinismo, che ha consentito a Obama di piegarsi agli interessi dell’industria americana, anch’essa molto indietro in termini di adeguamento dei propri impianti alle esigenze della salvaguardia ambientale globale.
Restano con un palmo di naso gli europei, ai quali i burocrati di Bruxelles avevano già imposto restrizioni un po’ in anticipo sui tempi e restano anche in difficoltà gli imprenditori europei, quelli del continente, che si trovano ora stretti nella tenaglia della concorrenza americana e cinese, cui l’elusione di impegni seri e vincolanti da assumere a Copenhagen darà certamente una nuova spinta competitiva.
Così il vertice mondiale dell’Onu sull’ambiente, previsto a Copenhagen, il prossimo dicembre, parte in salita sul fronte delle misure di riduzione della Co2.
In preparazione del vertice di dicembre, ormai inutile, lunedì e martedì, a 22 giorni dall’inizio del vertice di dicembre, nella capitale danese i ministri dell’Ambiente, compreso il ministro italiano Stafania Prestigiacomo, nella due giorni di consultazioni informali si troveranno sul tavolo il nuovo scenario che si è aperto a Singapore. Compito non facile per i ministri quello di preparare il terreno per Copenaghen, visto che sul vertice di dicembre ora si grida al flop.
Quello che è stato definito un compromesso accettato da Obama è in realtà un colpo di roulette, che un italiano non avrebbe mai tentato, giustamente vergoganndosi,  del primo ministro danese, interessato in quanto padrone di casa di un verticeche dovrebbe riunire 192 paesi, cioè tutto l’atlante. Quando ha capito che non si sarebbe fatto nulla di buono, il danese è corso a Singapore e ha proposto il minuetto dei due tempi, prima l’intesa politica, cioè parole vuote, poi quella vincolante, a babbo morto.
La mancanza di target vincolanti per la riduzione delle emissioni è infatti il cuore della questione. Ma gli ottimisti vedono nell’uno due un aspetto positivo, in quanto potrebbe invece agevolare il dialogo con i Paesi ancora mancanti all’appello del Protocollo di Kyoto, Usa e Cina. Anche perché gli Stati Uniti non farebbero in tempo per dicembre a presentarsi con una legge sul clima che potrebbe invece vedere la luce nella seconda metà del 2010.
«Domani – ha detto il ministro Prestigiacomo – sarò nella capitale danese per l’ultima riunione in vista della Conferenza Onu di dicembre. Sarà l’occasione anche per valutare la proposta che il premier danese Lars Lokke Rasmussen ha presentato all’Apec di un’intesa in due fasi, una politica e una successiva vincolante. Una formula questa che potrebbe rappresentare uno snodo fondamentale per coinvolgere nel processo di lotta ai cambiamenti climatici chi finora è rimasto fuori dagli impegni internazionali alla riduzione delle emissioni, come Usa e Cina. Due Paesi senza i quali ogni strategia sul clima rischia di restare solo simbolica».
Le principali questioni da discutere, oltre quelle relative alla forma del futuro accordo, riguardano in particolare le azioni di mitigazione e i finanziamenti per i Paesi in via di sviluppo.

15 novembre 2009 | 20:54


Accordo clima rimandato
sulle prime pagine


16/11/2009

Sulle prime pagine dei giornali in edicola oggi, 16 novembre, l’intesa sul clima rinviata di comune accordo tra Obama e la Cina. Politica, parla Gianfranco Fini e dice no alle elezioni anticipate. Cronaca, arrestato il boss Raccuglia, numero 2 della mafia.

CORRIERE DELLA SERA - In apertura: "Clima, l'unica intesa è il rinvio". Editoriale di Massimo Mucchetti: "La sfida di Google a Fisco e Antitrust". Al centro: "Nei diari della Petacci amori e furori del Duce", "La grande ipocrisia nei mari del Sud", "Scontro sull'agenda del premier" e "Mafia arrestato il numero due". Di spalla: "Se Ahmadinejad manda la moglie" e "Gheddafi fa lezione a cento hostess". In basso: la rubrica "Pubblico e privato" di Francesco Alberoni "Solo in gruppo odiamo senza sentirci colpevoli" e "Nati nel '48 (con la camicia)".

LA REPUBBLICA - In apertura: "Clima, lo stop di Usa e Cina". Editoriale di Vittorio Zucconi "Dalle promesse alla realtà" e di Giampaolo Visetti "I paletti di Pechino a Barack l'Asiatico". Di spalla: "Il comò che inaugura la svendita dei Beni culturali". Al centro: "Fini: niente elezioni ora, sì a un Lodo Alfano bis" e "Preso il boss Raccuglia 'Il numero 2 della mafia'". In basso: "Soldatesse, decalogo per il trucco" e "Indagato si dimette il comandante dei Ris".

LA STAMPA - In apertura: "Fini: no al voto anticipato". Editoriale di Cesare Martinetti: "Battisti e l'interesse nazionale". Al centro: "A 4 anni già sparavo", "Gheddafi a Roma recluta belle ragazze", "Clima, Obama e Cina affondano Copenaghen" e "Se si decide di non decidere". Di spalla: "E' indagato molla tutto il capo del Ris" e "Fuga finita per l'erede di Provenzano". In basso: "Il Tyson filippino vuole prendersi il Paese".

IL GIORNALE - In apertura: "Fini ha paura del voto". Editoriale di Vittorio Feltri: "Se la giustizia fa politica non fa giustizia". Al centro: "Le nostalgie di Napolitano per la Prima Repubblica", "Nella fabbrica dell'odio sfruttano i bimbi" e "E' come 15 anni fa: la Procura può fermare la ripresa". In basso: "Intervista a Santo Versace: 'Porterò al Senato il mio amico Armani'".

IL MESSAGGERO - In apertura: "Fini: no a elezioni anticipate". Editoriale di Francesco Paolo Casavola: "Il valore dell'unità. La missione più alta della politica". Fotonotizia: "Trapianti e donazioni dei cordoni ombelicali: caccia al virus del Nilo". Al centro: "I pm: premier assente ingiustificato. Il Pdl attacca: ora intervenga il Csm", "Tv digitale al via nel Lazio" e "Arrestato il numero due di Cosa Nostra". In basso: "America e Cina frenano sul clima: a Copenaghen slitteranno i tagli di C02" e  "Gheddafi, 200 ragazze per lui".

IL TEMPO - In apertura: "Vogliono processarlo a tutti i costi" e "Fini: il complotto? E' soltanto un delirio". Editoriale di Paolo Messa: "L'orgoglio di essere capitale". Di spalla: "Ris, si dimette il comandante Garofano" e "Cosa Nostra, arrestato il numero 2". Al centro: "Maroni: pericolo Brigate Rosse", "La Turchia di Erdogan con poca voglia di Ue" e "Fao, non bastano le parole". In basso: "E' switch off. Rivoluzione tv. Addio all'analogico. Roma è digitale".

IL SOLE 24 ORE - In apertura: "Indennizzi più difficili". Editoriale di Josè Manuel Barroso (presidente Commissione Ue): "Il summit della Fao a Roma. Fame nel mondo: una vergogna senza attenuanti". Fotonotizia: "I colori del successo. Il tramonto del nero". Al centro: "Agli statali voti 'fai-da-te'" e "In Romagna crescita record dei depositi". In basso: "La disdetta? Complicata come un divorzio". Di spalla: "Può bastare una vite per raddrizzare il business".

L'UNITA' - Apertura a tutta pagina: "Donne contro la fame". In basso: "Fini: complotto anti-premier? Delirio. Scontro Bersani-Pdl" e "Volterra e il film dei vampiri. Grande raduno dei giovani fan".


http://www.informazione.it/a/D11D84...le-prime-pagine

http://www.terranauta.it/a1556/camb...r_il_clima.html

http://www.gexplorer.net/notizie/



 
 marvel [ Lun 16 Nov, 2009 18:27 ]


Copenhagen fallisce già prima di cominciare.
Commenti
Messaggio Re: Copenhagen Fallisce Già Prima Di Cominciare. 
 
Citazione:
A parte la mancanza di basi scientifiche serie sul cambiamento climatico (di quelle pare non importi a nessuno)  si sarebbe dovuti partire da un concetto di tutela ambientale imprescindibile e non vincolato alla CO2, per creare un comitato internazionale in difesa della biosfera (e lì non mancano certo le prove sulle cause del degrado dell'ambiente e degli ecosistemi), cercando di far passare regole chiare e condivisibili sul rispetto e la protezione dell'ambiente e della salute umana.


Salve a tutti!
... condivido pienamente: l'ambiente va tutelato globalmente!

Due parole in fretta....

Non ci si può far prendere dalla mania delle "emissioni", che è solo una moda: non se ne può più, quando si va a comprare un frigorifero, un tostapane (non dico un'automobile!), di sentirsi ripetere che si risparmiano tot grammi di Co2 in un anno. E nel frattempo, non si può più mangiare pesce perché è pieno di sostanze inquinanti e metalli pesanti; le foreste, dove sopravvivono, sono alterate in maniera irreversibile; ci sono inquinanti nei posti più impensabili del mondo; siamo sommersi dalla "monnezza" e continuiamo a riempire le discariche...
L'elenco potrebbe continuare a lungo.
Insomma: solo valutando la questione globalmente, si potrà giungere a qualcosa di veramente buono e decisivo...
 



 
 Pigimeteo [ Lun 16 Nov, 2009 19:38 ]
Messaggio Re: Copenhagen fallisce già prima di cominciare. 
 
17 novembre 2009 - ore 13:45

Un altro bluff di Obama
obama-hu
Obama e Hu Jintao resuscitano – dopo averlo affossato – il summit sul clima di Copenaghen.
Giusto per dargli un'altra mazzata, forse più letale di prima.
Probabilmente resosi conto della figuraccia mondiale che stava facendo dopo aver detto che a Copenaghen non si sarebbe deciso nulla sul clima, il verde presidente americano ha spiegato che no, in effetti alla conferenza sul clima di dicembre "il nostro scopo non è di ottenere un'intesa parziale o una dichiarazione politica, ma piuttosto un accordo che riguardi tutte le questioni su cui si andrà a negoziare e che abbia immediato effetto operativo".

Cioè? Aria fritta, al solito.
Lo spiega su Repubblica Federico Rampini: dopo le proteste europee ecco arrivare una dichiarazione piena di belle parole. Peccato che Cina e America siano disposte a trovare sì un accordo, ma "non vincolante". Certo, Hu e Barack pensano sia necessario "agire per una riduzione significativa delle emissioni di gas serra e per rispettare questi impegni", ma senza un tetto stabilito questo impegno vuole dire tutto e niente, un classico degli accordi sull'ambiente da qualche anno a questa parte. Naturalmente, i limiti vincolanti saranno stabiliti nel prossimo incontro. O forse in quello dopo.

© 2009 - FOGLIO QUOTIDIANO
di Piero Vietti



 
 marvel [ Mer 18 Nov, 2009 15:39 ]
Messaggio Re: Copenhagen fallisce già prima di cominciare. 
 
In questo scenario, a rimanere spiazzata è l’Unione Europea, che su Obama – e sull’effetto trascinamento che la sua leadership avrebbe potuto esercitare sui paesi dell’estremo oriente – aveva giocato tutte le sue carte.

Con gli Usa in retromarcia e la Cina al finestrino, l’impegno di Bruxelles a ridurre di almeno del 20 per cento le proprie emissioni del 2020, e addirittura del 30 per cento se si raggiungesse un compromesso globale, rasenta il suicidio economico.

La ragione è evidente tanto dall’ultimo rapporto dell’Agenzia ambientale europea, quanto dal “World Energy Outlook” dell’Agenzia internazionale per l’energia: da prospettive diverse, emerge come il principale driver delle emissioni, nel breve-medio termine, sia la crescita economica.
Quindi, che il 2009 sia stato segnato dalla recessione e che le emissioni siano crollate non sono due fatti scorrelati. Sono l’uno la conseguenza dell’altro. E sono il presupposto dello scetticismo cinese e della ritrosia americana.
La recessione ha avuto lo stesso effetto su Washington e Pechino: l’economia americana è in ginocchio e non è in grado di sostenere un ulteriore colpo. Quella cinese ha superato la crisi e non vuole giocarsi l’opportunità di raggiungere un reddito pro capite simile a quello dei paesi Ocse. Lo scontro di queste due placche tettoniche è all’origine dello smottamento europeo.



 
 marvel [ Mer 18 Nov, 2009 15:47 ]
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