.......Alla conferenza mondiale partecipano 200 paesi.
Da Nairobi un ultimatum sul clima.
Per molti scienzati il riscaldamento del pianeta sta per raggiungere il punto di non ritorno ma i leader politici ignorano l'allarme
Alla vigilia dell’ arrivo di capi di Stato, di governo e dei ministri di duecento Paesi, che concluderanno la lunga Conferenza mondiale sul clima in corso a Nairobi, il contrasto fra gli allarmi lanciati dagli scienziati e la lentezza delle risposte politiche si fa sempre più stridente.
TEMPERATURE CRESCENTI - Per molti autorevoli esperti, la deriva climatica in atto sta per superare il punto di non ritorno, minacciando danni irreversibili agli ecosistemi e alla civiltà. Ultimo di una lunga serie di rapporti scoraggianti, è stato presentato a Nairobi uno studio dell’ Hadley Centre, l’Ufficio meteorologico del Regno Unito, che ribadisce l’evidenza della responsabilità dell’uomo nelle anomalie climatiche osservate. «Quando nei nostri computer inseriamo solo i fattori naturali, come l’attività del Sole e quella dei vulcani, non riusciamo a spiegare l’aumento medio globale delle temperature di quasi un grado registrato nell’ultimo secolo - ha spiegato Vicky Pope, capo del settore clima all’Hadley Centre -. Quando invece aggiungiamo l’aumento dei gas serra provocato dall’uomo, i conti tornano. Per noi è la prova che non siamo di fronte a oscillazioni naturali, ma a fenomeni causati dalle crescenti emissioni che accompagno le attività umane”.
DANNI IRREVERSIBILI - Nella capitale kenyota gli
Lars Muller, rappresentante Ue a Nairobi (Afp
scienziati continuano a dibattere quale siano le concentrazioni massime di gas serra tollerabili dall’atmosfera. Solo riferendoci al principale di essi, l’anidride carbonica (CO2), le concentrazioni oggi sono di 385 parti per milione e, visto lo sviluppo esponenziale di Paesi emergenti come Cina e India, potrebbero arrivare a 500 entro la fine del secolo, facendo balzare le temperature medie di altri 3-5 gradi (dipende dalla capacità del sistema climatico di incassare il colpo). Per alcuni scienziati questa situazione corrisponde al limite oltre il quale il sistema non tornerà più indietro, nemmeno con una drastica riduzione dei gas serra, perché si innesteranno dei processi naturali di amplificazione (feedback positivi) del disturbo provocato dall’uomo.
SICCITA’ A MACCHIA D’OLIO - Il rapporto dell’Hadley Centre illustra come una delle più evidenti conseguenze del cambiamento climatico consista nell’estensione delle aree colpite dalla siccità, a causa del duplice fenomeno dell’aumento delle temperature - che in alcune regioni delle Americhe, dell’Asia e dell’Australia ha già raggiunto la cifra record di 3 gradi rispetto a pochi decenni fa -, e dell’associata evaporazione delle acque continentali. “Le aree del pianeta soggette a siccità hanno già raggiunto il 25% della superficie terrestre, concentrandosi soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Con ogni probabilità sono destinate a raddoppiare entro questo secolo, causando devastanti problemi all’agricoltura e alla salute delle popolazioni colpite”. Insomma, metà del pianeta soffrirà la sete e le peggiori condizioni si registreranno nelle aree densamente popolate dell’Africa, Sud America e Sud Est Asiatico.
INCENDI A RIPETIZIONE - Un’altra conseguenza di quella parte del pianeta condannata al maggior surriscaldamento e alla siccità consiste nel propagarsi degli incendii, veri e propri fuochi perpetui che già oggi riducono in carbone immense aree forestali dei Paesi in via di sviluppo. Gli scienziati britannici hanno calcolato che, nell’arco degli anni ‘90 il rilascio della CO2 da questi incendi ha dato un contributo in gas serra pari a circa 1/3 rispetto a quelle prodotte dalle attività industriali dell’uomo. L’incremento degli incendi e delle emissioni di CO2, associato alla crescente siccità rappresenta uno di quegli effetti di amplificazione del riscaldamento globale di cui non si era tenuto conto.
IL COSTO DELL’ INAZIONE - La somma di queste e altre conseguenze nefaste del cambiamento climatico provocato dall’uomo,
Il premio Nobel Wangari Maathai interviene a Nairobi (Ansa)
come l’accelerato scioglimento dei ghiacci, l’aumento del livello dei mari, le inondazioni, la crescente distruttività delle tempeste tropicali, le piogge intense, le alluvioni, sono alla base di un altro studio, questa volta a sfondo economico, presentato la settimana scorsa a Londra dal noto economista britannico Sir Nicholas Stern, che sarà ripreso e approfondito qui a Nairobi mercoledì 15 novembre con un intervento dello stesso autore.
Stern, per la prima volta, ha sviluppato una valutazione dei costi delle distruzioni all’ambiente e alle società umane del cambiamento climatico in caso di inazione dei governi, arrivando alla conclusione che ogni Paese perderebbe una cifra pari a circa il 20% del proprio Prodotto interno lordo (Pil). A fronte di un simile salasso economico, sarebbero sufficienti investimenti di appena l’1% del Pil per finanziare gradualmente tutte quelle azioni volte a limitare le emissioni di gas serra, promuovendo l’efficienza energetica e le energie rinnovabili. In questo modo si risolverebbe anche il problema di affrancarsi progressivamente dagli idrocarburi e di ridurre l’inquinamento ordinario.
Contro ogni tentazione catastrofistica, precisa lo stesso economista, il messaggio vuole essere positivo: agire per stabilizzare le emissioni, rallentando la risalita delle temperature, prima del punto di non ritorno, è possibile e presenta costi sopportabili. Fare finta che l’uomo non abbia alcuna responsabilità, imputare tutto alla natura, e scegliere la strada dell’inazione equivale a fare la scelta piu’penalizzante per le economie mondiali.
LA PAROLA AI GOVERNI A fronte di un panorama scientifico attivissimo, che fa in pieno il proprio dovere per sottolineare pericoli e indicare soluzioni, i governi, fino a questo momento, appaiono frenati, se non totalmente bloccati. I delegati degli stati Uniti a Nairobi, malgrado la sconfitta elettorale di Bush nelle elezioni di medio termine, hanno dichiarato che la politica ambientale non cambia: sono fuori dal Protocollo di Kyoto e per ora non intendono rientrare. I Paesi in via di sviluppo, come Cina e India, che in pochi anni si apprestano a superare il primato degli Stati Uniti come principali emettitori di gas serra, continuano a ripetere che accetteranno di procedere a tagli obbligatori delle emissioni solo dopo che i Paesi industrializzati avranno fatto il loro dovere.
L’Europa, fino a questo momento la vera sostenitrice del protocollo di Kyoto, lancia a Nairobi una sfida impegnativa: ridurre le emissioni del 30% entro il 2020. Ma intanto le ha ridotte di meno del 3%, a fronte di un impegno dell’8% entro il 2012. E, per finire l’Italia, che si era impegnata a tagliare del 6,5%, viaggia con un +16%. Quanto basta perché i delegati di Legambiente e Wwf invochino all’Europa e all’Italia in particolare, di svegliarsi e di dare la sveglia. Ma il ministro Alfonso Pecoraro Scanio, in volo verso la capitale keniota, promette: "La musica sta per cambiare, abbiamo concordato nuovi limiti alle emissioni degli impianti industriali che ci faranno recuperare il terreno perduto”.
Franco Foresta Martin
13 novembre 2006