Bellissimo nuovo articolo di Guido Guidi che, oltre a rinnovare la sfida all'ipotesi dell'AGW (che effettivamente non non è nemmeno una teoria, come spiegato all'interno dell'articolo stesso), ben argomenta la necessità di provare, tramite esperimenti scientifici, quanto sostenuto da chi, a suon di modelli, vedrebbe l'uomo e la CO2 da lui prodotta come principale causa del riscaldamento globale.
Da leggere tutto d'un fiato.
Sfida all’AGW: rilancio al rialzo!
SCRITTO DA EDITORIALE IL 7 - AGOSTO - 2011
Son passati più di tre mesi dalla sfida lanciata su queste pagine ai sostenitori dell’ipotesi AGW. Com’era prevedibile, ma non auspicabile,
ci sono state diverse polemiche ma la scienza ha latitato. In generale tra i fedelissimi alla religione IPCC la risposta alla richiesta di un lavoro sperimentale condotto sul campo è stata un
“non si può fare” o addirittura un ancor più insensato
“servirebbe un altro pianeta Terra per paragone”. Insomma per il catastrofista dogmatico dell’era moderna la risposta a qualsiasi richiesta scientifica è sempre elusiva o peggio ancora del tutto sciocca. Si rispetta talmente poco il metodo scientifico – e anche il buon senso- che per giustificare la mancanza di prove scientifiche serie a supporto dell’ipotesi AGW si aggiungono ulteriori dogmi che servono ad eludere del tutto il naturale progresso scientifico. Così ora
secondo costoro noi tutti dovremmo convivere oltre che con il dogma dell’AGW anche con quello che non si possono fare esperimenti per dimostrarlo, quindi è inutile chiedere.
A tutti i sostenitori di questa linea di difesa dogmatica vorrei far notare che il vero metodo scientifico è assai diverso, e come al solito un esempio reale sarà utile per mettere in luce le differenze.
Come molti sanno l’equazione di Navier-Stokes non è stata mai risolta analiticamente (quantomeno tenendo tutte e 3 le dimensioni spaziali). Chi riuscirà a ricavare tale soluzione troverà ad aspettarlo il famoso premio da 1 milione di dollari americani (oltre molto probabilmente al premio nobel per la fisica) che un ricco americano ha messo in palio. Ebbene per intascare tale premio non è necessario trovare le soluzioni all’equazione, si può anche vincerlo dimostrando che l’equazione non può avere soluzioni; ma in ogni caso una dimostrazione deve essere presentata, perché questo è il vero metodo scientifico, sia per dire che qualcosa si può fare sia per dire che non si può fare deve essere presentata una dimostrazione di pari rigore scientifico.
Allo stesso modo i sostenitori dell’AGW che non intendono presentare le prove scientifiche della loro fede nella forma di un lavoro sperimentale sul campo, dovrebbero obbligatoriamente (pena la mancanza di credibilità) dimostrare con assoluto rigore scientifico che tale esperimento non può essere realizzato. In definitiva la sfida agli adepti dell’AGW è rinnovata in questo senso:
per vincere la sfida bisogna indicare un lavoro sperimentale condotto sul campo che dimostri scientificamente le preponderanti responsabilità umane nell’attuale trend termico, o in alternativa bisogna presentare una dimostrazione scientifica propria o di terze persone che dimostri che l’esperimento scientifico in questione è fisicamente impossibile.
Ovviamente le interminabili chiacchiere e opinioni varie non costituiscono una prova scientifica quindi si prega di non cimentarsi nell’immancabile lavoro di chiacchiericcio tipico della disinformazione catastrofista.
Un altro tipo di risposta che si riscontra sovente da parte dei cosiddetti catastrofisti è il tipico “spetta a voi dimostrare il contrario”. In parole povere loro lanciano un allarme e spetta agli altri dimostrare che le ragioni di tale allarme non esistono. Ora ad alcuni questo modo di fare potrebbe anche apparire quasi ragionevole, quindi applichiamolo alla vita di tutti i giorni per capire se il concetto è sensato o meno.
Immaginiamo di essere in un grosso centro commerciale e di vedere entrare un tizio che si precipita all’allarme antincendio rompe il vetro e preme l’apposito tasto, dopodiché inizia ad urlare a squarciagola “al fuoco”. Ebbene come è logico attendersi tutte le persone presenti nel centro commerciale prese dal panico si dirigeranno verso l’uscita più vicina. Nel frattempo voi potete provare a far ragionare la folla argomentando pacatamente che visto che il sistema di antincendio automatico non è scattato e visto che non si vedono né fiamme né fumo, forse il tizio è solo un pazzo o un imbroglione, ma la gente correrà lo stesso verso le uscite.
Perché? È il cosiddetto
“principio di precauzione”, che detto con parole altisonanti Principio-Di-Precauzione, appare come il frutto di un sottile ragionamento, di una pacata saggezza, ma in realtà altro non è che il più ancestrale e forte di tutti gli istinti primordiali presente in ogni bestia: se c’è un pericolo corri! Per carità tutti noi nella stessa situazione prima correremmo e poi penseremmo, ma se ad esempio qualcuno ci dicesse che domani un meteorite incenerirà la nostra zona, quasi nessuno comprerebbe al volo un biglietto per l’Australia per scampare al pericolo. Per cose importanti meglio prima pensare e poi agire, l’istinto primordiale alla base del principio di precauzione, mal si adatta a situazioni complesse, anche perché agire di getto senza pensare non è una gran scelta. Quindi la scelta di distruggere le già disastrate economie mondiali per via delle urla di allarme di fanatici che non hanno dimostrato nulla, non pare proprio una scelta adatta a noi che ci definiamo homo “sapiens”.
Tornando alla scena del centro commerciale, immaginiamo ora che non riuscendo a calmare la folla in preda la panico e non vedendo alcuna traccia del presunto incendio, decidessimo di andare da chi urla al fuoco e chiedergli lumi, per sentirci incredibilmente rispondere:
“Spetta a voi altri dimostrare che non c’è nessun incendio!”
Questa scenetta a dir poco ridicola, degna di un pessimo film comico-demenziale, e inoltre
nella realtà tale modo di operare si chiama procurato allarme ed è un reato punito in ogni società moderna; tuttavia
questo è proprio quello che accade tutti i giorni nel dibattito sul clima, dove dei catastrofisti berciano costantemente su un presunto disastro climatico ad opera dell’uomo senza darne prova. Una situazione sconcertante.
Tornando alla presunta impossibilità di fare difficoltosi esperimenti nell’atmosfera, ebbene coloro che avanzano tali ridicole giustificazioni dimostrano ancora una volta la loro estraneità alle tematiche di cui discutono, ignari che
misure sperimentali “impossibili” sono state ampiamente condotte in passato nel settore atmosferico, in particolare nelle indagini dell’alta atmosfera che era difficilmente raggiungibile in passato. Quando non esistevano strumenti che potessero sondare certe altitudini, i ricercatori non alzavano certo le spalle dicendo “è impossibile”, si armavano di ingegno e si inventavano tutti i modi più fantasiosi per condurre le loro indagini; si ricorreva ad ogni mezzo, palloni, razzi (la maggior parte dei V2 sequestrati ai nazisti vennero usati per indagini atmosferiche), ogni cosa potesse arrivare in alto; facevano detonare delle cariche in alta quota e poi misuravano la propagazione dei suoni (un po’ come si fa oggi con le analisi sismiche), lanciavano miriadi di minuscoli riflettori o, emulando Galileo, lasciavano cadere delle sfere dalle quote alte e registravano le variazioni di velocità a causa dell’attrito, scoprendo in tal modo la struttura dell’alta atmosfera. In pratica quello era il tempo della fantasia e dell’ingegno che compensavano discretamente la mancanza di tecnologia. Ma forse tra i tanti esperimenti il più ingegnoso, ai limiti del poetico, è un altro. Lo scopo era studiare le quote più alte ed inaccessibili dove nessuno strumento poteva arrivare, ma l’assoluta impossibilità tecnologica non ha impedito a Lindemann e Dobson (quello dell’omonima unità di misura) di pubblicare nel lontano 1923 un pionieristico lavoro sull’alta atmosfera.
Sfruttando nientemeno che le informazioni ricavate dalle cosiddette “stelle cadenti”, ovvero le scie delle meteore, che erano state studiate tempo prima da William Frederick Denning, i due ricercatori riuscirono ad indagare le caratteristiche della parte alta dell’atmosfera, sovvertendo le conoscenze dell’epoca sull’andamento della temperatura con la quota. In tempi più recenti le scie meteoriche possono essere seguite anche di giorno tramite l’ausilio di appositi radar. Un bel modo di fare indagini scientifiche che ci è stato lasciato in eredità da coloro che non hanno mai detto “è impossibile fare esperimenti del genere”, un’altra mentalità, un altro spessore intellettuale.
L’esperimento è l’unica strada per testare le nostre teorie, e si badi bene ribadiamo teorie e non ipotesi. La scienza quella vera, è fatta da teorie e dai relativi esperimenti, è bene ricordare le differenze tra teorie ed ipotesi,
perché la mancanza di esperimenti risolutivi sulla veridicità o meno dell’AGW non è affatto casuale, ma è figlia della mancanza di una teoria dell’AGW. Mancando la teoria risulta meno facile falsificare o meno il tutto mediante l’esperimento appositamente congegnato; quindi ciò che i sostenitori dell’AGW devono fare per rispetto della scienza e del buon senso è elaborare una teoria, successivamente l’intera comunità scientifica avrà vita più facile per ideare l’apposito experimentum crucis.
Ciò che fino ad ora è accaduto è che da un’ipotesi di oltre un secolo fa
è nato un dogma, la cui nascita ricorda il racconto biblico dell’origine dell’idolatria, in cui un antico re dopo la morte prematura del figlio fece fare una statua e costrinse il popolo ad adorarla, poi l’abitudine è divenuta tradizione e cosi è nata l’idolatria. La stessa identica cosa è accaduta nelle scienze del clima, un’ipotesi di oltre un secolo fa si è trasformata in abitudine e poi in certezza, cosi la CO2 è divenuta il falso Dio che regola il clima e l’IPCC è il suo profeta.
È istruttivo perdere un po’ di tempo per parlare di un’antica sfida, durata oltre mezzo secolo che ha visto il profondo intersecarsi tra teoria ed esperimenti, la questione della forma della terra.
Quando si creò il metro campione si ebbe l’esigenza di ricavarlo dalle dimensioni dell’equatore terrestre, cosi l’accademia francese iniziò delle misure per determinare la forma della terra, e per migliorarle chiamo il nostro Gian Domenico Cassini che fece un ottimo lavoro e misurò l’arco terrestre da Dunquerque fino ai Pirenei. Cassini stabilì che un grado a nord di Parigi misurava 267 metri in meno rispetto a quello misurato a sud; le misure sul campo erano esatte, c’era quindi la prova che la Terra era Prolata (asse maggiore passante per i poli). Al contrario Jean Richer, un orologiaio parigino, tramite il suo orologio a pendolo stabilì che la gravità era maggiore a Parigi rispetto alla Caienna, in quanto in quest’ultima città l’orologio rimaneva indietro di 2 minuti e 28 secondi ogni giorno. Newton spiegò facilmente il fenomeno asserendo che la forza centrifuga compensava maggiormente l’attrazione gravitazionale nelle zone equatoriali rispetto a quelle polari, e calcolò anche la misura dello schiacciamento polare. In parole povere asserì che la terra non era Prolata, bensì Oblata (asse minore per i poli). Nonostante l’osservazione di Richer la scuola francese forte delle misure di campo sosteneva la Terra Prolata e quella inglese quella Oblata. La diatriba andò incredibilmente avanti per mezzo secolo, fin quando i francesi convintissimi di aver ragione decisero di intraprendere una più cospicua campagna di misure, mandando una spedizione in Lapponia ed un’altra nella zona che ora fa parte dell’Ecuador. Quest’ultima a causa delle impervietà del luogo impiegò 9 lunghi anni per compiere le misure. La conclusione fu che Newton aveva ragione, al che Voltaire commentò sarcasticamente:
“Avete scoperto a prezzo di un grande e duro lavoro ciò che Newton scoprì senza muoversi dalla sua poltrona.”
Com’era possibile che le misure esatte del Cassini supportassero l’ipotesi della Terra Prolata e non la teoria di newton della terra Oblata? La spiegazione è semplice. A quel tempo le conoscenze geologiche non erano molto avanzate e si ignorava il fatto che i Pirenei con le loro radici a bassa densità modificassero la direzione verticale indicata dal filo a piombo, falsando di fatto le misure, di per se stesse precise. Ciò che conta è che dopo i risultati della campagna di misure la diatriba finalmente finì e la Terra divenne finalmente Oblata per tutti, nessuno escluso.
Come per il dibattito sulla forma della terra anche nella scienza del clima si dovrà per forza di cose giungere ad una teoria ed ai conseguenti esperimenti. Entrambe le cose servono per giungere alla verità celata nella natura, chi sostiene che il dibattito è chiuso senza bisogno di alcuna prova (
si portano le prove del GW come se fossero le prove dell’AGW, scandaloso!), è o un incompetente o una persona in malafede che per secondi fini porta avanti questa sterile diatriba. Ma la storia insegna che si sta solamente rimandando la resa dei conti tramite le vere prove scientifiche.
Si potrà forse far durare il dibattito per altri 50 anni ma alla fine una teoria e gli esperimenti sul campo dovranno esser fatti e da quel giorno il clima diverrà uguale per tutti, nessuno escluso.
da
www.climatemonitor.it