The Smoking Gun
di Guido Guidi il 04-02-2008
Alcuni giorni fa ho scoperto che la definizione “Global Warming” è stata inserita in uno dei più famosi dizionari della lingua Italiana. Non so se compaia anche la voce “riscaldamento globale”, è più probabile che le due siano trattate separatamente, però il fatto che ci sia la prima la dice lunga su quanta suggestione possa indurre l’uso comune di termini importati, creati ad effetto e forse anche dal significato non del tutto noto. Se dovessimo fare un sondaggio (perchè no, oggi sono di gran moda), scopriremmo che tutti sanno cos’è il Global Warming e che, tra questi, molti sono convinti che non sia necessario aggiungere il sostantivo “antropico” per chiarire che si parla di qualcosa di cui il genere umano dovrebbe essere ritenuto responsabile. Potere della comunicazione efficace.
A costo di essere monotono vorrei provare a definire il Global Warming: aumento della temperatura media globale, che non si traduce in aumento ovunque, che induce dei cambiamenti nelle dinamiche atmosferiche e nel sistema pianeta, ma che può anche essere causato da questi ultimi. Un sistema in equilibrio dinamico e non statico è infatti soggetto a molti cambiamenti.
Ma quello che più ci interessa è che dalla comparazione delle osservazioni dell’era moderna con i sistemi di definizione delle temperature del passato, risulterebbe che in alcune decine di anni la temperatura media globale alla superficie è aumentata di circa 0,7°C, seguendo però un andamento decisamente poco lineare, caratterizzato da alcune inversioni di tendenza ancora inspiegabili. Tra queste spiccano il periodo di raffreddamento tra gli anni ‘40 e ‘70, l’improvvisa accelerazione della fine del secolo scorso e infine l’arrestarsi della fase di aumento che si protrae ormai dal 1999. Il risultato netto sarebbe comunque in positivo e quindi devono essere valutati tutti gli effetti che questo riscaldamento potrebbe avere sul sistema.
Quale la causa di questo aumento complessivo? Una buona parte della letteratura scientifica, largamente supportata dai media, individua un solo responsabile, l’aumento della concentrazione di gas ad effetto serra causato dalle attività umane, prima fra tutte il massiccio impiego di combustibili fossili che bruciando producono grandi quantità di anidride carbonica. Ad un primo sguardo il discorso fila, aumenta la CO2 aumentano le temperature, come aumenta la temperatura dell’acqua di una pentola quando ci si mette sopra il coperchio. Ma l’anidride carbonica ha subìto un trend di aumento assolutamente lineare, diversamente dalle temperature, perciò questo rapporto di causa effetto appare in qualche modo poco chiaro. Nel sistema ci sono molteplici altri elementi, il cui livello di comprensione scientifica è ancora piuttosto basso, che interagendo tra loro determinano questa difformità di comportamento pur in presenza di una comune tendenza all’aumento. Questi elementi sono normalmente definiti come forzanti naturali del clima e, diversamente dalle forzanti antropiche, sono difficilmente riproducibili con i modelli di simulazione, al punto di non essere presi quasi mai in considerazione nella determinazione dell’evoluzione del sistema in risposta al variare delle forzanti antropiche.
Le variazioni dell’attività solare, il calore endogeno del pianeta, la variazione della capacità degli oceani di assorbire, trasportare e riemmetere l’energia termica, le variazioni della quantità di energia riemessa dalla terra, tutti fattori che concorrono all’equilibrio del sistema e che ne hanno spesso determinato il cambiamento, quando di effetto antropico non si poteva davvero parlare. Di più, il comportamento di questi fattori mostra spesso livelli di correlazione con il trend della temperatura molto più elevati di quelli dell’anidride carbonica.
Ma allora perchè si dice che siano tutti convinti che sia l’umento dell’effetto serra a produrre l’aumento di temperatura? Una sola risposta, lo dicono i modelli di simulazione climatica, gli stessi di cui sopra. Questa convinzione si fonda sul fatto che questi modelli non riescono a riprodurre il comportamento della temperatura nel passato recente, noto grazie alle osservazioni, se non si introduce il forcing prodotto dalle attività umane. Ergo, non conoscendo bene le forzanti naturali e non avendo a disposizione altra spiegazione, la responsabilità deve per forza essere tutta dei gas serra. Per esclusione.
Questo genere di critica alla fondatezza della teoria del GW l’abbiamo già sentita molte volte, rischia di essere liquidata per noia, anche se non è ancora mai stata realmente confutata. Anche per questo una ragione c’è e, per spiegarla, vanno chiariti alcuni concetti sul bilancio radiativo della terra, ossia sulla quantità di radiazione solare ad onde corte ricevuta e successivamente riemessa ad onde lunghe verso lo spazio.
E’ un fatto noto che il gas serra più potente sia il vapore acqueo, soprattutto in ragione della sua elevatissima concentrazione nella bassa troposfera. Ce n’è talmente tanto che la radiazione infrarossa emessa dalla superficie non potrebbe sfuggire verso l’alto se non si innescassero dei meccanismi di trasporto dell’energia che forzano il calore oltre le quote dominate dal vapore acqueo, tra questi soprattutto i temporali della fascia tropicale e le onde planetarie extrapicali. Grazie a questi meccanismi il calore raggiunge un livello nella media troposfera dal quale la radiazione emessa può sfuggire verso lo spazio. Questo caratteristico livello di emissione è una “profondità ottica dell’atmosfera” noto come τ=1. L’equilibrio termico del pianeta è dato dunque dalla quantità di energia che attraverso questo livello caratteristico sfugge verso l’alto bilanciando la quantità di energia ricevuta dal sole. Aumentando la concentrazione dei gas che concorrono assieme al vapore acqueo alla trasparenza dell’atmosfera, il livello τ=1 sale di quota e finisce per essere caratterizzato dunque da una temperatura inferiore, perchè la temperatura diminuisce con l’altezza. Ne consegue che la terra non è più in equilibrio termico con lo spazio e si genera quello che viene normalmente definito “forcing radiativo”. Per ristabilire le condizioni di equilibrio la temperatura del nuovo livello caratteristico, più o meno 7-8km ai tropici ed un pò più basso a latitudini più elevate, deve aumentare. Questo riscaldamento è la base dell’effetto serra, tuttavia non è ancora molto chiaro come poi tale aumento finisca per riflettersi in superficie (Lindzen 2007).
Ancora una volta vengono in nostro soccorso i modelli di simulazione, infatti l’IPCC ha condotto una serie di simulazioni sull’evoluzione delle temperature nella medio-bassa troposfera considerando dei forcing naturali e dei forcing antropici. Il trend di aumento della temperatura è decisamente differente quando interviene il forcing antropico (riquadri c ed f nella figura - IPCC 2007 appendice 9c), si genera infatti un “hot spot” di aumento proprio alle quote del livello caratteristico, con un rateo di crescita delle temperature tre volte superiore a quello dei valori previsti in superficie. Praticamente tutti i modelli di simulazione climatica prevedono la formazione di questa bolla di riscaldamento. Per dirla in breve, se così fosse, la temperatura in quota dovrebbe aumentare e, ancor prima essere aumentata, molto più di quanto è accaduto al suolo.
Ma cosa sappiamo delle temperature troposferiche? Molto, ma da non molto tempo. I sistemi di osservazione in quota sono relativamente recenti; se ci riferiamo ai palloni sonda, possediamo delle serie storiche che risalgono circa agli anni ‘60, mentre i primi sensori a microonde dei satelliti meteorologici sono comparsi nel 1979. Periodi di osservazione decisamente brevi, ma pur sempre periodi nei quali la temperatura al suolo ha continuato a salire e quindi anche le temperature troposferiche avrebbero dovuto mostrare un trend di crescita ben definito. Così non è, la realtà descritta dalle osservazioni è ben diversa dalle simulazioni, non c’è traccia di alcun hot spot delle temperature in quota. L’effetto serra di chiara origine antropica come descritto dai modeli di simulazione non esiste. Difficile dare una diversa interpretazione quando è chiaro che la differenza nei ratei di aumento delle temperature al suolo ed in quota prevista dai modelli di simulazione, sui quali si basa tutta la teoria del Global Warming di origine antropica, non è riscontrabile nelle osservazioni reali.
Ma dove si originano dunque le anomalie di temperatura? Dall’analisi del bilancio radiativo della terra della figura accanto, seppur si tratti di un breve periodo di osservazione, si evince che le variazioni dell’energia infrarossa riemessa ai tropici condizionano fortemente le temperature globali, anche tenendo conto delle variazioni dell’albedo tropicale indotte dal comportamento della copertura nuvolosa. Un aumento della radiazione infrarossa emessa ai tropici avrebbe un consistente impatto sulle temperature delle latitudini polari. Da questo capiamo anche che l’aumento delle temperature alle alte latitudini non è l’effetto del Global Warming antropico, è quello che accadrebbe in risposta ad un qualsiasi trend di riscaldamento indipendentemente dalle cause, comprese le cosiddette forzanti naturali.
Ma le osservazioni confermano quanto appena detto? Sembrerebbe di sì, tenuto conto del fatto che le variazioni della radiazione infrarossa riemessa ai tropici e le anomalie della temperaura media globale presentano un indice di correlazione lineare di 0.92. Tali variazioni, essenzialmente dovute a fattori naturali quali l’ENSO e le fluttuazioni dell’albedo, sarebbero responsabili dell’85% delle anomalie di temperatura media della bassa troposfera (Moene 2006). Lo stesso non si può dire del confronto tra l’aumento della concentrazione di CO2 e l’aumento delle temperature, i cui trend sono notoriamente poco confrontabili.
In conclusione la pistola fumante, così evidente dalle simulazioni climatiche, non compare nella maggior parte dei data set di osservazioni e, anche dove ce n’è un accenno, il differenziale tra i ratei di crescita delle temperature al suolo e nella bassa troposfera è molto diverso da quello che giustifica la conclusione che l’effetto serra di origine antropica sia alla base del riscaldamento globale. Questa discrepanza è stata in effetti affrontata anche recentemente (Thorne et al. 2007) attribuendo al consistente margine di errore delle serie storiche, che non sono strutturate per identificare delle fluttuazioni di piccola entità, la responsabilità per l’assenza dell’hot spot troposferico. Ma se le osservazioni contengono un margine di errore capace di alterare la realtà, come possono costituire la base dei modelli di simulazione climatica? E come si possono trarre delle conclusioni sull’ampiezza dell’impatto antropogenico basandosi su questi modelli?
Alla luce di quanto accennato sulla dinamica del bilancio radiativo e confidando sulla bontà di un discreto numero di serie storiche verrebbe da pensare che forse il problema sono le simulazioni e non la realtà osservata. Ne consegue che proprio sulla base delle osservazioni in quota, dato un trend decadale fortemente inferiore a quello stimato, il contributo al riscaldamento al suolo del forcing antropico sarebbe circa un sesto di quello stimato ipotizzando un raddoppio della concentrazione di CO2 rispetto al periodo pre-industriale, ossia 0,5°C in luogo di 3°C (Scwartz 2007, Lindzen 2006). Servono indubbiamente più informazioni, serie di dati più lunghe e più precise, ma soprattutto si dovrebbe evitare di far dipendere decisioni tanto importanti quali quelle che riguardano le cosiddette azioni di “mitigazione” da modelli di simulazione in tutta evidenza molto approssimativi.
Da: http://www.climatemonitor.it/?p=47#more-47

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