#1 marvel Mer 26 Mag, 2010 21:02
Interessante e, direi anche, esilarante articolo di Guido Guidi sui dati rilevati dal sistema GRACE.
Leggete e capirete perché...
Alla pesa del ghiaccio
Scritto da Guido Guidi il 26 - maggio - 2010 su Climatemonitor.it
Un tizio con il viso simpatico e qualche chiletto in più, è Scott Luthcke, colui che si occupa di estrarre ed interpretare i dati che arrivano dalla coppia di satelliti GRACE (Gravity Recovery And Climate Experiment), lanciati dalla NASA sei anni fa per compiere delle misure gravitazionali. Grist ci ha appena fatto su un nuovo articoletto leggero leggero, di quelli che aiutano a prendere sonno ben consapevoli di essere parte attiva nella distruzione di questo nostro fantastico pianeta.
Il sistema GRACE consta di due satelliti che viaggiano in formazione e misurano costantemente la distanza che li separa con uno strumento in grado di arrivare ad una precisione del centesimo di micron. Quando volano sopra territori con massa considerevole, sono soggetti a delle impercettibili variazioni di velocità, prima uno e poi l’altro. Dopo un certo numero di sorvoli, si può capire se quella massa è in qualche modo variata. L’ideale per tenere sotto controllo la massa glaciale delle Groenlandia, per esempio.
E così, da sei anni, ogni dieci giorni, sappiamo quanto “pesa” il ghiaccio su quel lembo di terra. Neanche a farlo apposta, i risultati di queste misurazioni sono spaventevoli. la Groenlandia sta perdendo massa glaciale a ritmi vertiginosi. Il fatto che non si sappia assolutamente un accidente di quale fosse il rateo di diminuzione della massa glaciale sei anni e un giorno fa è puramente accessorio. Il fatto che in un interglaciale (attuale periodo climatico) sia assolutamente normale che il ghiaccio regredisca sul pianeta lo è altrettanto.
Nonostante quanto appena accennato, sono tutti convinti e ci vorrebbero convincere che questa sia la più evidente delle evidenze del clima che cambia, naturalmente per colpa nostra. Gli strumenti oratori sono sempre gli stessi. Regola numero uno fornire un numero molto grande che possibilmente sia difficile da visualizzare. Regola numero due, spiegarne le dimensioni, con un bel paragone ad effetto che fa impressione ma non significa proprio niente (stile distacco di iceberg grandi come Manhattan, per esempio).
Nella fattispecie la massa che la Groenlandia starebbe perdendo ogni anno è pari a 200 chilometri cubici, e il paragone arriva con il lago Erie (uno dei cinque maggiori laghi della zona dei Grandi Laghi in America settentrionale - Wikipedia), ma potrebbe essere anche 550 volte il peso di tutti gli umani sul pianeta, piuttosto che 31.000 volte il peso delle piramidi egizie.
Eh, ma allora è proprio tanto! Sì, tantissimo, circa lo 0,007% della massa totale del ghiaccio groenlandese. Sette millesimi di un punto percentuale. Ciò significa che se questo terrificante rateo di scioglimento dovesse continuare imperterrito, vedremmo scomparire tutto il ghiaccio esattamente tra……15.000 anni, cioè in linea con la scala temporale millenaria delle naturali variazioni climatiche.
Orsù, non strappatevi i capelli, per quella data l’interglaciale sarà finito e saremo alle porte o già dentro una nuova glaciazione. Cioè, sarete, perché io nel frattempo sarò morto dalle risate.
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Ultima modifica di marvel il Gio 27 Mag, 2010 08:46, modificato 1 volta in totale
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#2 Pigimeteo Mer 26 Mag, 2010 22:39
Eccellente esempio di umorismo: lo farò leggere ai miei alunni!
Quoto completamente. Tra l'altro, in un articolo su "La Stampa" di oggi, l'atrofisico russo Habibullo Abdussamatov, direttore del dipartimento di ricerca spaziale di Sanpietroburgo, pone in diretta connessione la diminuzione recente dell'estensione e del volume dei ghiacci polari terrestri con quella, da lui misurata esattamente, di quelli di Marte. Responsabile, in entrambi i casi, sarebbe la smodata attività solare degli ultimi ottanta anni, che ora si è finalmente arrestata. Secondo Abdussamatov, ora, ci aspetta una nuova PEG: a partire dal 2014, per la precisione.
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#3 Boba Fett Gio 27 Mag, 2010 01:47
Nella fattispecie la massa che la Groenlandia starebbe perdendo ogni anno è pari a 200 chilometri cubici, e[b] il paragone arriva con il lago Erie (uno dei cinque maggiori laghi della zona dei Grandi Laghi in America settentrionale - Wikipedia), ma potrebbe essere anche 550 volte il peso di tutti gli umani sul pianeta, piuttosto che 31.000 volte il peso delle piramidi egizie.
Tra l'altro il lago erie è di gran lunga il meno "voluminoso" dei grandi laghi, data la profondità media molto modesta (20 metri o poco più).
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#5 zerogradi Gio 27 Mag, 2010 09:02
Accade anche il contrario:
I ghiacciai alpini NON stavano peggio 70 anni fa
Un recente studio svizzero suggerisce che negli anni ‘40 una radiazione solare più intensa avrebbe causato un rateo di fusione annuale dei ghiacciai superiore a quello registrato oggi. “Repubblica” raccoglie e distorce la notizia, riportando che in quel periodo i ghiacciai alpini erano meno estesi di oggi. Ma non è così.
.
La superficie e la lunghezza dei ghiacciai rispondono sostanzialmente alle variazioni di temperatura e delle precipitazioni nevose, con tempi di reazione che possono variare da qualche anno a qualche decennio, a seconda della forma e delle dimensioni dei ghiacciai stessi. L’andamento meteorologico della singola annata influenza invece solo il bilancio di massa annuale, che dipende dalla somma dei processi di accumulo (dovuto generalmente alle nevicate) e di ablazione (dovuta generalmente alla fusione estiva) in un anno. Per influenzare l’estensione e la lunghezza dei ghiacciai è necessario che un determinato andamento del bilancio di massa (positivo o negativo) persista per anni o decenni; per questo motivo i ghiacciai sono ampiamente riconosciuti come uno dei migliori indicatori delle variazioni climatiche su scala pluridecennale. È ormai assodato che oggigiorno il ritiro generalizzato dei ghiacciai sia dovuto essenzialmente all’aumento globale della temperatura tanto che dalle misure delle fluttuazioni delle fronti glaciali si è potuta ottenere una ricostruzione indipendente dell’aumento globale della temperatura che risulta coerente con gli altri tipi di analisi più tradizionali.
Il ghiacciaio del Careser nel gruppo montuoso dell’Ortles-Cevedale nel 1947 e nel 2007 (le foto del Careser in questo post sono una cortesia di Luca Carturan).
A fronte della mole di evidenze a riprova dell’attuale ritiro dei ghiacciai (si veda ad esempio qui) non può sfuggire un messaggio completamente fuori dal coro come quello lanciato da Repubblica il 3 gennaio 2010 in un articolo a firma Luigi Bignami, che riferendosi ai ghiacciai alpini, ha titolato “Nuova ricerca: sulle Alpi 70 anni fa bacini più piccoli di quelli di oggi”. L’articolo è stato addirittura lanciato da un box in prima pagina intitolato “Quando i ghiacci si sciolsero e rinacquero”, in cui si legge la perentoria frase: “L’idea ricorrente che l’attuale riduzione dei ghiacciai alpini non abbia confronti con situazioni analoghe è stata smentita da uno studio realizzato dai glaciologi dell’ETH”.
Questo articolo prende spunto da una recente ricerca svizzera che però non ha nulla a che fare con l’analisi della variazione dell’estensione dei ghiacciai alpini. Questo studio riporta invece i risultati riguardanti la fusione annuale di 4 ghiacciai svizzeri durante l’ultimo secolo ovvero di come sostanzialmente sia variata anno dopo anno l’ablazione che, come abbiamo visto, è solo la componente negativa del bilancio di massa annuale. In particolare questa ricerca indica come negli anni ’40 la fusione fosse stata maggiore del 4% rispetto all’ultimo decennio. Dunque gli autori NON “hanno cercato i rapporti esistenti tra i cambiamenti climatici e le variazioni di dimensione dei ghiacciai” come riportato erroneamente da Repubblica ma hanno solo studiato le variazioni annuali della fusione di questi 4 ghiacciai alpini durante l’ultimo secolo, confrontando in particolare gli anni ’40 e l’ultimo decennio.
Il granchio preso da Repubblica non è da poco: sarebbe un po’ come dire che, siccome negli anni ‘40 i ghiacciai fondevano di più durante le estati, allora l’area e la posizione delle fronti dei ghiacciai in quegli anni erano meno estese o più arretrate di oggi. Una montagna di dati ci indica invece che i ghiacciai alpini durante tutto l’ultimo secolo sono sempre stati più estesi rispetto ad oggi (anche se magari non come riportato nella mappa di Repubblica che illustra un confronto tra un’improbabile distribuzione dei ghiacciai nel 1850 ed oggi). Ad esempio qui si illustra come la lunghezza di tutti i ghiacciai alpini monitorati negli anni 40’ fosse largamente superiore rispetto ad oggi.
Repubblica cerca poi di aggiustare maldestramente il tiro riportando che, secondo lo studio svizzero, nonostante le temperature negli anni 40’ fossero state inferiori, i “ghiacciai dell’arco alpino si ritiravano ad una velocità superiore a quella dei giorni nostri”. Il messaggio che sembra uscirne è dunque che la ricerca svizzera avrebbe accertato che il ritiro delle fronti glaciali negli anni ’40 sarebbe stato più rapido rispetto ad oggi. Nonostante lo studio svizzero metta invece in luce solo una fusione annuale apparentemente superiore (il che non implica necessariamente un ritiro più veloce delle fronti glaciali, soprattutto in un arco temporale di soli 10 anni), paradossalmente Repubblica potrebbe in questo caso aver indovinato e offerto un’ipotesi ragionevole. I ghiacciai alpini negli anni ‘40 erano molto più estesi e dunque scendevano fino a quote decisamente inferiori di oggi: ecco perché la velocità di ritiro delle fronti glaciali in quegli anni potrebbe dunque essere stata veramente superiore rispetto ai giorni nostri!
In tutta questa confusione, anche gli autori della ricerca svizzera sembrano averci messo del loro. Citando (questa volta correttamente) la ricerca in questione, Repubblica ha riportato ”Se si estrapolano i dati per l’intero decennio dei Quaranta risulta che la quantità di neve e ghiaccio che si è sciolta è stata superiore del 4% rispetto a quella dell’ultimo decennio”. In effetti lo studio svizzero riporta che durante il decennio 1942-1952 la fusione sui ghiacciai è stata superiore del 17% rispetto alla media secolare, mentre durante il decennio 1998-2008 la fusione è stata superiore solo del 13%. Quindi il decennio 1942-1952, nonostante abbia avuto una temperatura media inferiore, avrebbe visto una fusione del 4% superiore rispetto al decennio 1998-2008, cosa che gli autori attribuiscono ad una maggior radiazione solare.
Peccato che gli autori svizzeri non specifichino che questa differenza non è statisticamente significativa (significatività che, ove opportuno, avevano sempre indicato puntualmente). Un rapido calcolo che tiene conto anche della variabilità annuale (deviazione standard), indica infatti che la fusione annuale negli anni ’40 e nell’ultimo decennio sono state superiori del 17 ± 26 % e del 13 ± 23 % rispetto alla media secolare. Escludendo i due anni in cui si sarebbero verificate le fusioni di gran lunga maggiori (1947 e 2003), si ottengono ratei di fusione superiori alla media piuttosto diversi: 9 ± 15% per gli anni ’40 e 8 ± 16% nell’ultimo decennio. Se poi si tenesse anche conto del grado di incertezza con cui può essere simulata la fusione, legata a processi complessi quali le variazioni di massa e di energia che avvengono in un ghiacciaio, allora la variabilità associata sarebbe ancora più elevata di quella appena calcolata (già enorme). In conclusione, l’affermazione riportata dallo studio svizzero che “La fusione di neve e ghiaccio nei 4 siti alpini di alta quota è stata maggiore del 4% negli anni ’40 rispetto all’ultimo decennio” risulta quantomeno azzardata, in quanto non robusta dal punto di vista statistico. È desolante rimarcare come questo improbabile 4% sia stato poi trasformato da Repubblica in “-4%: estensione dei ghiacci negli anni 40 rispetto ad oggi”.
Infine, anche l’individuazione, da parte della ricerca svizzera, della radiazione solare quale principale responsabile di una forte fusione dei ghiacciai negli anni ‘40, non sembra inattaccabile in quanto, per calcolare la fusione annuale dei 4 ghiacciai, le ricostruzioni delle temperature e delle precipitazioni usate sono state estrapolate da registrazioni ottenute a quote molto meno elevate (facendo dunque assunzioni importanti quali gradienti altitudinali costanti). Inoltre appare molto difficile simulare variazioni dell’albedo (radiazione riflessa dai ghiacciai) in un periodo come quello degli anni ’40 per il quale non si dispone di osservazioni. Per non parlare poi della simulazione della nuvolosità in alta quota durante quegli stessi anni…
In ogni caso, gli anni ’40 sono stati veramente un “bagno di sangue” per i ghiacciai alpini, i quali hanno essenzialmente battuto tutti in ritirata, proprio come oggi, con fusioni annuali sicuramente comparabili. Tuttavia ogni conclusione (basata su soli 4 ghiacciai), tendente a stabilire se la fusione di tutti i ghiacciai alpini in quel periodo fosse stata più o meno intensa di oggi, sembra quantomeno prematura.
Il titolo e l’articolo di Repubblica contengono gravi errori, e così è per gli scritti di quanti hanno rilanciato questa notizia.
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#6 marvel Gio 27 Mag, 2010 12:33
Accade anche il contrario:
I ghiacciai alpini NON stavano peggio 70 anni fa
Un recente studio svizzero suggerisce che negli anni ‘40 una radiazione solare più intensa avrebbe causato un rateo di fusione annuale dei ghiacciai superiore a quello registrato oggi. “Repubblica” raccoglie e distorce la notizia, riportando che in quel periodo i ghiacciai alpini erano meno estesi di oggi. Ma non è così.
...
Interessante, ma non viene riportato l'articolo di Repubblica che mi sarebbe piaciuto poter leggere.
Comunque sappiamo che i giornalisti sono particolarmente portati a strumentalizzare, enfatizzare e distorcere le informazioni, un po' per ignoranza, un po' per vizio, sempre alla ricerca del titolo sensazionale.
Ma questo caso è molto diverso da quello da me (da Guidi) riportato.
Infatti in quel caso era stato uno scienziato, e il suo staff, a divulgare notizie in modo sensazionalistico-catastrofista, in puro "IPCC's Style", in questo caso, invece, è stato il giornalista a male interpretare le informazioni.
Informazioni che, tra l'altro, risultano essere molto interessanti dandoci la consapevolezza che il ritiro dei ghiacciai è stato comunque molto intenso già in epoca poco soggetta all'eventuale influenza della CO2 (non paragonabile certo alle concentrazioni odierne). Quindi, pur con le dovute cautele nelle interpretazioni, resta in evidenza la probabile influenza solare su quell'arretramento (che c'è stato e a ritmi notevoli).
L'errore di Repubblica (giornale normalmente più "serrofilo" che non) è stato quello di confondere le acque parlando di ghiacciai più arretrati di oggi, mentre la ricerca parlava di ritmi di fusione maggiori di quelli odierni (effettivamente una bella differenza).
Infine, gli "amici serrofili" di climalteranti, cercano a loro volta di rovesciare la frittata, infatti nel sostenere, giustamente, che i ghiacciai in fusione, all'epoca, si trovavano a quote inferiori, quindi con arretramento estivo per forza più sensibile di quello delle lingue di fronte di oggi, che si trovano in quota, dimenticano di segnalare che la notizia è invece significativa sul fronte dei cambiamenti climatici.
Infatti, come si dice anche nell'articolo, i ghiacciai alpini sono considerati tra i migliori indicatori dei cambiamenti climatici, e sapere che già negli anni '40 era in atto un arretramento sensibile dei ghiacciai mette a rischio la teoria del Riscaldamento Globale di origine Antropica, che invece tende a concentrare le variazioni climatiche negli ultimi 30-40 anni, collegando strettamente l'impennata di CO2 di questi decenni con quella delle temperature e degli indici climatici (ghiacciai compresi).
Infatti se andiamo a considerare l'arretramento subito dai ghiacciai dagli anni '80 fino ad oggi, la situazione appare molto grave, data la rapidità di fusione. Ma se andassimo a calcolare l'arretramento subito dagli anni '30, o inizio secolo, avremmo un andamento molto più morbido, testimone della fase naturale di arretramento di un periodo interglaciale e, soprattutto, di uscita dalla PEG, che invece ha rappresentato un periodo di forte avanzata glaciale (prima della PEG i ghiacciai erano praticamente scomparsi sulle Alpi... e parlo di dati reali).
Infatti nei decenni successivi agli anni '40 si è verificata un'avanzata, seppur temporanea, dei ghiacciai alpini che avevano recuperato gran parte di quanto perso precedentemente.
Ghiacciai delle Alpi italiane in avanzata e in ritiro dal 1925 al 2000. Valori espressi come percentuale dei ghiacciai con variazioni misurate. Ad una fase di prevalente ritiro, accentuatasi negli anni '40 e '50, ha fatto seguito una breve fase di avanzata, culminata nei primi anni '80, quindi un rapido ritorno alle attuali condizioni di generale ritiro (elaborazione G. Zanon, aggiornamento M. Santilli).
Se stiamo a guardare ogni minima oscillazione (ad esempio quella di avanzata-raffreddamento degli anni '60-70)
e non consideriamo un periodo più ampio, è facile indurre la gente in errore.
Ad esempio, se guardassimo solo l'andamento termico degli ultimi 10 anni, tralasciando quello degli anni '80-90, non vedremmo sostanziali variazioni termiche, anzi, forse una leggera tendenza alla diminuzione.
Ma guardando un periodo più ampio, nella totalità dei dati dalla PEG in poi, si nota un riscaldamento.
Insomma, il solito discorso: nella sostanza non cambia il fatto che i ghiacciai siano in arretramento e che questo continuerà, visto che a PEG ultimata le temperature alle nostre latitudini, in questa fase interglaciale, non permettono il mantenimento di una coltre glaciale sulle nostre montagne (infatti non c'erano ghiacciai alpini prima della PEG), ma è sostanziale capirne le modalità, onde individuare le cause naturali o antropiche.
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#7 Boba Fett Gio 27 Mag, 2010 12:59
(infatti non c'erano ghiacciai alpini prima della PEG)
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#8 marvel Gio 27 Mag, 2010 13:40
(infatti non c'erano ghiacciai alpini prima della PEG)

I ghiacciai alpini in epoca precedente alla PEG erano decisamente più arretrati di adesso, praticamente l'Optimum Medievale li aveva ridotti a nevai di alta quota.
A testimonianza di ciò ci sono prove concrete, come tronchi di albero precedenti alla PEG, rinvenuti negli attuali ghiacciai in fusione, trascinati a valle dai ghiacciai della PEG (nemmeno oggi crescono alberi o boschi a quelle quote), e prove storiche di insediamenti di montagna abbandonati dalle popolazioni perché invasi dal ghiaccio e ancora sotto di esso.
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#9 zerogradi Ven 28 Mag, 2010 08:31
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#10 Boba Fett Ven 28 Mag, 2010 14:34
(infatti non c'erano ghiacciai alpini prima della PEG)

I ghiacciai alpini in epoca precedente alla PEG erano decisamente più arretrati di adesso, praticamente l'Optimum Medievale li aveva ridotti a nevai di alta quota.
A testimonianza di ciò ci sono prove concrete, come tronchi di albero precedenti alla PEG, rinvenuti negli attuali ghiacciai in fusione, trascinati a valle dai ghiacciai della PEG (nemmeno oggi crescono alberi o boschi a quelle quote), e prove storiche di insediamenti di montagna abbandonati dalle popolazioni perché invasi dal ghiaccio e ancora sotto di esso.

Non l'avrei mai detto, come non avrei mai pensato che nel giro di un secolo o poco più si siano estesi così tanto.
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#11 marvel Ven 28 Mag, 2010 18:01
(infatti non c'erano ghiacciai alpini prima della PEG)

I ghiacciai alpini in epoca precedente alla PEG erano decisamente più arretrati di adesso, praticamente l'Optimum Medievale li aveva ridotti a nevai di alta quota.
A testimonianza di ciò ci sono prove concrete, come tronchi di albero precedenti alla PEG, rinvenuti negli attuali ghiacciai in fusione, trascinati a valle dai ghiacciai della PEG (nemmeno oggi crescono alberi o boschi a quelle quote), e prove storiche di insediamenti di montagna abbandonati dalle popolazioni perché invasi dal ghiaccio e ancora sotto di esso.

Non l'avrei mai detto, come non avrei mai pensato che nel giro di un secolo o poco più si siano estesi così tanto. 
La PEG è iniziata intorno al 1300 ed è finita nel 1860, 560 anni di mini-glaciazione, più di mezzo millennio (non 1 secolo!) ed è stato il periodo più freddo di tutto l'Olocene, con picco del freddo tra il 1590 e il 1830.
In epoche precedenti si erano già verificati i picchi caldi post-glaciali, o interglaciali, e i ghiacciai alpini si erano ritirati notevolmente, il picco del clima caldo postglaciale, infatti, si raggiunse nel 5000 a. C., con l'optimum climatico, il clima più mite mai registrato fino a oggi (fino a 3°C sopra alla temperatura media odierna!!!), con i ghiacciai moooolto più ridotti di quelli attuali: è il periodo a cui risale, per esempio, la mummia dell’uomo di Similaun, a testimonianza del fatto che a quell’epoca molti valichi alpini erano transitabili e frequentati.
In quelle epoche la nostra penisola aveva una flora e fauna ben diverse da quelle recenti, più tipiche di climi più miti del nostro.
(è facile trovare le prove di ciò)
Poi i ghiacciai ebbero varie avanzate, come tra il 1300 e il 1400 a.C e il 900-300 a.C, seguita dalla ritirata nel periodo caldo tra il 400 e il 750 d.C, che coincide con l’espansione dell’Impero Romano, a cui segue poi una breve avanzata medioevale tra il 1150 e il 1350 d.C e, poi, arriva la PEG la massima avanzata glaciale dopo la fine delle glaciazioni pleistoceniche.
Molte delle grandi morene visibili in prossimità dei ghiacciai attuali risalgono proprio alla Piccola Età Glaciale (come per esemio quelle del ghiacciao del Morteratsch, in Engadina, Svizzera, alte più di 40 m).
Piccole pulsazioni si ebbero negli anni successivi, tra il 1880-1890, nel 1920 e, più recentemente, tra il 1960 e il 1980, a seguito di un periodo con temperature più basse tra gli anni ’50 e ’70, per il resto dell'epoca moderna una generale ritirata dei ghiacciai.
PS: ciò che mi sa più ridicolo (non solo a me), in tutta la questione fusione dei ghiacciai-fusione della calotta artica, è la continua ricerca dell'individuazione della "data" in cui spariranno tutti i ghiacciai.
Infatti per stabilire tale data si prende come riferimento un trend, cioè la tendenza che scaturisce dalla "linea retta media" del periodo di riferimento.
Ma, come è facile capire, questa cosa non ha un senso. Infatti se prendo come riferimento gli ultimi 100 anni, avrò una certa tendenza, se prendo come riferimento gli ultimi 8000 anni ne ho un'altra, se prendo gli ultimi 10 anni ne ho un'altra ancora.
Ma il clima subisce continue fluttuazioni. Se del 1600 avessero ragionato con la stessa filosofia "al trend", a quest'ora saremmo in piena era glaciale! Se ragionassimo "al trend" sulle temperature dell'Optimum Climatico (medievale o no) a quest'ora saremmo ormai in clima equatoriale!
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#12 Boba Fett Ven 28 Mag, 2010 19:58
Interessante, grazie marvel.
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