Da "Repubblica.it":
ROMA - L'augurio di Fausto Bertinotti: "Caro Riotta, spero davvero che lei riesca ad abolire il "panino" dal Tg1". La certezza di Carlo Rognoni: "Riotta innoverà, cominciando a togliere di mezzo pratiche indigeste come il famigerato "panino"... ". L'avvertenza di Franco Giordano: "Per noi il pluralismo non è il cosiddetto "panino"del Tg1". Di quale panino parlano, il presidente della Camera, il consigliere d'amministrazione della Rai e il segretario di Rifondazione? Di un panino virtuale, naturalmente. Nulla che abbia a che fare con la pausa pranzo dei giornalisti del Tg1. Nulla di commestibile. E neanche nulla di buono.
Cos'è il "panino"? E' un'invenzione di Clemente Mimun, un'idea che lo illuminò negli anni in cui dirigeva il Tg2 (è passato tanto tempo: c'era il primo governo Berlusconi). Una formula che non consiste nello sminuzzare, cuocere e servire le opinioni di quindici partiti in un minuto - questo era il "pastone", che risale alla preistoria dei nostri telegiornali - ma nel confezionare una specialissima nota politica nella quale il ruolo del pane e quello del companatico sono assegnati in partenza: la prima fetta di pane spetta al governo, in mezzo c'è la fettina di mortadella dell'opposizione (che in genere "protesta", "attacca", "contesta" o si produce in altre attività negative) e poi arriva, puntualmente, la seconda fetta di pane, quella della maggioranza.
La bravura di Mimun - se così si può dire - è stata quella di adattare questa ricetta, creata inizialmente per il primo governo del Polo, anche alla stagione del centro-sinistra. Rovesciando la parti, si capisce: durante il governo D'Alema, per esempio, nel suo Tg2 la prima e l'ultima parola spettava sempre all'opposizione berlusconiana.
Ma il trionfo del "panino", la sua definitiva consacrazione a sistema ufficiale per lo schiacciamento del centro-sinistra, è arrivato con il secondo governo Berlusconi, quando Mimun è passato dal Tg2 al Tg1. Approdato al primo telegiornale italiano, lui ha perfezionato la formula rendendo tassativo l'ordine delle opinioni. Mai, neanche per sbaglio, l'ultima parola doveva toccare all'opposizione.
E se nessun ministro aveva detto una parola? Si faceva chiudere, comunque, a un capogruppo della maggioranza. E se poi, disgraziatamente, l'attesa dichiarazione governativa era arrivata dopo il montaggio del servizio, allora toccava al conduttore incollarla subito dopo la nota politica (memorabili le facce della Busi o di Sassoli, più di una volta costretti a leggere in diretta, senza preavviso, le urgentissime parole di Bondi, di Cicchitto o di Schifani).
Ora, poteva anche capitare - in linea teorica - che i commenti a una vicenda politica fossero solo due, e che il primo in ordine di tempo fosse quello berlusconiano. E' capitato. Capitò, per l'esattezza, ad Andrea Montanari. Il quale un giorno si trovò a scrivere di una polemica tra l'avvocato Taormina (Forza Italia) e il suo collega Calvi (Ds). Montanari, essendo un cronista di vecchia scuola e un giornalista dalla schiena dritta, rispettò l'ordine cronologico (oltre che logico), e montò prima la battuta di Taormina e poi la risposta di Calvi. "Non va - gli dissero - devi invertire l'ordine". Lui si rifiutò: "Non posso dare prima la risposta e poi la domanda". Risultato: il servizio venne sfilato dall'edizione delle 20 e mandato in onda solo a mezzanotte. Quanto a Montanari, per un anno fu tenuto fuori dal video - senza che nessuno gli affidasse più un servizio - a riflettere sulla sua testardaggine.
Dice Mimun: ma il panino non l'ho inventato io, c'era già prima di me. Non è così. Prima c'era un'altra cosa. C'era il "bidone". Nei telegiornali dell'Ulivo, per esempio, ogni giorno un cronista seguiva il centro-sinistra e un altro si occupava del centro-destra. Poi, a fine giornata, ciascuno dei due impastava le notizie sul suo schieramento (in un "bidone", come fu subito soprannominato questo contenitore dalla forma elastica) e il Tg mandava in onda i due servizi uno dopo l'altro. Neanche quello era un metodo esaltante, però almeno non annullava il ruolo del cronista politico e non prevedeva il divieto per il giornalista di fare domande al politico.
Perché - al di là del "panino" che rimane il suo capolavoro - la mossa di Mimun che ha provocato una mutazione genetica dell'informazione politica nei tg è proprio l'abolizione dell'intervista come genere giornalistico. Il contraddittorio tra il cronista e il politico è stato abolito, e lui ha riservato solo a se stesso il diritto di intervistare i leader.
Quando vedevamo Bonaiuti o Vito che parlavano al Tg, pensavamo che stessero rispondendo a un giornalista. E invece no, avevano davanti solo un telecineoperatore, mandato lì a raccogliere (da solo) le dichiarazioni spontanee dell'interessato. A tutti, centro-sinistra compreso, stava bene così. Solo una volta - che si sappia - un ministro protestò. Quando Gianni Alemanno vide arrivare il telecineoperatore chiese, incavolato: "E il giornalista, dov' è?". "Ma lei sa già tutto, mi hanno detto..." rispose l'altro, imbarazzatissimo. "No, io non so niente. E non mi piace farmi le interviste da solo". L'"intervista" non si fece. Ma rimase un caso isolato.