Come previsto... Giovani, fallisce il bonus assunzioni
«Incentivi? È in crisi anche il sommerso»
Doveva servire per centomila posti, sono arrivate 13 mila richieste
Anche perché il Governo ancora non vuole capire che per far ripartire l'economia, anzi per rallentare la caduta e agevolare il reimpiego, prima di tutto bisogna abbassare la pressione fiscale per evitare che le imprese chiudano. Che poi, se non riparte la domanda, e quindi la produzione, voglio vedere quale imprenditore va ad assumere qualcuno, seppur con agevolazioni, quando sta pensando a come riuscire a non mandare a casa i suoi stessi dipendenti!
Letta è la fotocopia di Monti.
____________ "La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre" - Albert Einstein
Intervista molto interessante, questa secondo me è l'unica vera via di uscita da questa crisi!
L'intervista esclusiva al Columnist economico del Telegraph di Alessandro Bianchi
Ambrose Evans Pritchard. International Business Editor of The Daily Telegraph
- Dalle colonne del Telegraph, Lei ha scritto spesso come i paesi dell'Europa del sud dovrebbero formare un cartello e parlare con un'unica voce nel board della Bce e nei vari summit per forzare quel cambiamento di politica necessario a rilanciare le loro economie. Ritiene che il sistema euro possa ancora salvarsi o giudica migliore per un paese come l'Italia scegliere il ritorno alla propria valuta nazionale?
Quello che serve in Europa oggi è uno shock economico sul modello dell'Abenomics. Italia, Spagna, Grecia e Portogallo, insieme alla Francia devono smettere di fare finta di non avere un interesse in comune da tutelare. Questi paesi hanno i voti necessari per forzare un cambiamento. La Bce oggi non sta rispettando gli obblighi previsti dai trattati e non solo per il target del 2%, dato che nei trattati non si parla solo d'inflazione, ma anche di crescita e di occupazione. Il dato dello 0,8% di ottobre è un autentico disastro per l'andamento della traiettoria di lungo periodo del debito. Senza un cambio di strategia forte, l'Italia sarà al collasso nel 2014. Il paese ha un avanzo primario del 2.5% del PIL e ciononostante il suo debito continua ad aumentare. Il dramma dell'Italia non è morale, ma dipende dalla crisi deflattiva cui è costretta per la sua partecipazione alla zona euro.
La politica è fatta di scelte e di coraggio. Fino ad oggi non si è agito per impedire che si dissolvesse il consenso politico dell'euro in Germania. Ma oggi c'è una minaccia più grande e se Berlino non dovesse accettare le nuove politiche, può anche uscire dal sistema. Il ritorno di Spagna, Italia e Francia ad una valuta debole è proprio quello di cui i paesi latini hanno bisogno. Del resto, la minaccia tedesca è un bluff ed i paesi dell'Europa meridionale devono smascherarlo. L'ora del confronto è arrivato.
- Il problema è che i governi attuali dell'Europa meridionale sembrano ipnotizzati dall'incantesimo del "più Europa" e non prendono in considerazione altre soluzioni. Da cosa dipende?
Recentemente ho avuto modo di incontrare a Londra il primo ministro italiano Enrico Letta ed abbiamo parlato proprio di questo. Alla mia domanda sul perché non si facesse promotore di un cartello con gli altri paesi dell'Europa in difficoltà per forzare questo cambiamento, il premier italiano mi ha risposto che secondo lui sarà Angela Merkel a mutare atteggiamento nel prossimo mandato e venire incontro alle esigenze del sud. Si tratta di un approccio assolutamente deludente. Enrico Letta, come anche Hollande in Francia, è un fervente credente del progetto di integrazione europea e non riesce ad accettare che l'attuale situazione sia un completo disastro. Questo atteggiamento non gli permette di comprendere le ragioni per cui l'euro sia divenuto così disfunzionale per i paesi membri.
- Coloro che sostengono che i paesi dell'Europa meridionale non possono tornare alle loro monete nazionali utilizzano due motivazioni in particolare: l'enorme inflazione conseguente all'inevitabile svalutazione ed il fatto di non poter poi reggere la concorrenza di colossi commerciali come la Cina. Le giudica corrette?
Si tratta, in entrambi casi, del contrario esatto della realtà. L'euro è un'autentica maledizione per le esportazioni, che dipendono dai prezzi e dal tasso di cambio. I paesi europei sopravvalutati a causa della moneta unica hanno perso una quota importante del loro mercato globale a discapito della Cina. Con Pechino che tiene lo yaun sottovalutato e con una moneta enormemente sopravvalutata, molte aree dove l'industria italiana eccelle sono inevitabilmente in crisi. Una crisi che dipende dal tasso di cambio.
Per quel che riguarda l'inflazione, qualora l'Italia dovesse procedere ad un collasso disordinato e caotico dell'euro, il paese potrebbe perdere nella prima fase il controllo dei prezzi. Ma oggi quest'ultimi sono già fuori controllo. Nei paesi dell'Europa meridionale è in corso una grave crisi di deflazione che rischia di riproporre il "decennio perso" del Giappone con contorni inquietanti per quel riguarda l'andamento debito/Pil. In Italia è passato dal 120% al 133% in due anni: si tratta di una trappola che sta portando il paese al collasso. Il problema da combattere oggi è la deflazione e non l'inflazione.
L'esperienza attuale dell'Italia e degli altri paesi della zona euro è molto nota in Gran Bretagna. Nel nostro paese ci sono stati due esempi similari di crisi di deflazione e svalutazione interna: agli inizi degli anni '30 con il sistema del Gold Standard e nella crisi dello SME del 1991-1992. In entrambi i casi, il Regno Unito ha determinato la rottura del sistema e restaurato il controllo totale della propria valuta nel momento in cui gli interessi del paese erano messi a rischio. I critici al tempo utilizzavano la stessa argomentazione dell'inflazione, ma nel 1931 all'uscita del Gold Standard, in una situazione di deflazione interna, non vi è stato alcun aumento incontrollato dei prezzi, con lo stimolo monetario e la svalutazione che sono stati la premessa per la ripresa dalla Grande Depressione. La stessa identica esperienza l'abbiamo vissuta nel 1992 con la crisi dello Sme.
Spesso si tende ad avere un approccio superficiale alle questioni economiche e questo non aiuta il dibattito politico. Se dovesse lasciare l'euro, l'Italia dovrebbe optare per un grande stimolo monetario da parte della Banca d'Italia, una svalutazione ed una politica fiscale sotto controllo. Questa combinazione garantirebbe al paese una transizione tranquilla e nessuna crisi fuori controllo.
- Molto spesso coloro che reputano insostenibile il ritorno alle monete nazionali paventano anche l'insostenibilità di poter sopportare le inevitabili ritorsioni economiche della Germania. Si tratta di una minaccia credibile?
Non c'è nulla di più falso. E' negli interessi della Germania gestire l'eventuale uscita di un paese membro nel modo più lineare, regolare e tranquillo possibile. Nel caso di un deprezzamento fuori controllo della Lira, ad esempio, il più grande sconfitto sarebbe Berlino: le banche ed assicurazioni tedesche che hanno enormi investimenti in Italia sarebbero a rischio fallimento; ed inoltre, le industrie tedesche non potrebbero più competere con quelle italiane sui mercati globali. Sarebbe interesse primordiale della Bundesbank acquisire sui mercati valutari internazionali le lire, i franchi, pesos o dracme per impedirne un crollo. Si tratta di un punto molto importante da comprendere: nel caso in cui uno dei paesi meridionali dovesse decidere di lasciare il sistema in modo isolato, è nell'interesse dei paesi economici del nord Europa, in primis la Germania, impedire che la sua valuta sia fuori controllo e garantire una transizione lineare. Tutte le storie di terrore su eventuali disastri che leggiamo non hanno alcuna base economica.
- In diversi suoi articoli recenti, Lei dichiara come la spinta al cambiamento arriverà dalla Francia. Quale sarà l'elemento che lo determinerà in concreto?
Con la disoccupazione che cresce a livelli non più controllabili, Hollande, che ha posto come suo obiettivo primario della sua presidenza quello dell'occupazione, ha perso ogni credibilità e sta arrivando al limite di sopportazione con l'Europa.
Quello che sta accadendo oggi alla Francia è l'esatta riproposizione delle dinamiche economiche che il paese ha vissuto dal 1934 al 1936, quando con il Gold Standard il paese si trovava in una situazione di deflazione, disoccupazione di massa e non aveva gli strumenti per ripartire. I dati sono arrivati ad un livello insostenibile nella presidenza Laval nel 1935 ed ha determinato un cambiamento politico rivoluzionari nel 1936: la vittoria del Fronte Popolare. La Francia di oggi è in una situazione simile al 1935, con i dati economici che continuano a peggiorare di mese in mese, ed una svolta come quella del 1936 si avvicina. Basta vedere la tensione dei protestanti in Bretagna o i risultati crescenti del Fronte Nazionale per comprenderlo.
- Sarà Le Pen ad imprimere questo cambiamento?
L'ascesa del Fronte Nazionale è incredibile, ma non penso che prenderà mai il potere. Quello che accadrà sarà però altrettanto rivoluzionario, in quanto costringerà gli alri partiti, soprattutto i gaullisti, a modificare la loro politica. Il programma di Le Pen è chiaro: uscita immediata dall'euro - con il Tesoro francese che proporrà un accordo con i creditori tedeschi, se questi non l'acceteranno la Francia tornerà lo stesso al franco e le perdite principali saranno per la Germania – e poi referendum sull'Ue sul modello inglese. Sono argomenti che incontrano la simpatia di un numero crescente di persone in modo trasversale e gli altri partiti non possono più ignorarli. Il Fronte Nazionale sta forzando gli altri partiti a cambiare la loro agenda e realizzare che non possono semplicemente avere la stessa opinione di Berlino e Bruxelles.
- In molti paesi stiamo assistendo alla fusione dei partiti conservatori e socialisti a difesa dell'austerità di Bruxelles e contro le intenzioni di voto degli elettori. Il voto dei Parlamenti nazionali sulle leggi di stabilità ormai non conta più ed i governi aspettano solo l'approvazione della Commissione. Infine, i paesi si stanno indebitando per finanziare organizzazioni inter-governative come il Mes, che prenderà decisioni fondamentali per la vita delle popolazioni nei prossimi anni e non ha all'interno meccamismi di trasparenza e di controllo democratico. Ma cosa sta diventando l'Unione Europea?
La difficoltà oggi è quella di comprendere il perché la creazione dei vari strumenti di coesione federale decisi dall'Ue abbiano creato un sistema così disfunzionale. Il problema fondamentale è la mancanza del controllo delle imposte e della spesa da parte di un Parlamento eletto democraticamente. Non è un caso che la guerra civile inglese sia iniziata nel 1640 quando il re ha cercato di togliere questi poteri al Parlamento o che la rivoluzione americana sia scoppiata quando questo potere è stato tolto da Londra a stati come Virginia o il Massachusetts, che lo esercitavano da tempo. Sono esempi anglosassoni, ma ce ne sono tanti altri di come le fondamenta della democrazia risiedono nel controllo del budget e delle imposte da parte di organi eletti dal popolo. Quello che sta accadendo all'Ue è, al contrario, il tentativo di darne la gestione a strumenti e strutture sovranazionali, che non hanno alcun fondamento con nessun Parlamento. E' estremamente pericoloso e chiaramente anti-democratico. L'argomento che viene usato spesso in sua difesa è che si tratta di un primo passo antidemocratico si, ma che serve per completare la federazione sul modello statunitense. Il sistema americano sarebbe il modello logico da imitare, ma non è realizzabile: non c'è il consenso politico nei cittadini europei e per gli Usa vi erano sistemi, istituzioni e tradizioni completamente differenti. François Heisbourg nel suo ultimo libro centra alla perfezione questo punto: non si può creare un'Unione politica con l'obiettivo di salvare l'euro. E' ridicolo. La federazione deve essere subordinata ad i grandi ideali che plasmano una società e non per salvare una moneta. I paesi devono tornare alla realtà sociale al più presto e non devono pensare a strumenti di ingegneria finanziaria per far funzionare qualcosa che non può funzionare.
- Il referendum voluto da Cameron per la rinegoziazione della partecipazione del Regno Unito all'Ue trova il favore di un numero crescente di paesi, soprattutto nel nord Europa. Cosa si attende dal voto inglese?
La prima reazione in Europa quando Cameron ha lanciato il referendum è stata quella di definire gli inglesi "stupidi suicidi". L'argomento era quello che Londra avrebbe perso mercato e si sarebbe rassegnata al declino economico. Si tratta di argomentazioni ridicole. Le persone che hanno ancora ben compreso come funziona l'Unione Europea, come quelle con cui mi sono confrontato alla Conferenza Ambrosetti a Como in settembre, sanno che l'uscita del Regno Unito sarebbe si un disastro, ma non per Londra, per l'Ue. Il progetto europeo si basa su tre gambe, una delle quali è la Gran Bretagna, l'Olanda ed i paesi scandinavi. E senza una di queste, l'Ue è finita, perché la chimica interna cambierebbe e sarebbe particolarmente difficile soprattutto per la Francia mantenere i sottili equilibri con la Germania. La decisione inglese è un enorme avviso a Bruxelles: l'integrazione è andata troppo oltre il volere popolare e le popolazioni vogliono indietro alcuni poteri. La Costituzione europea è stata rigettata da un referendum in Francia ed Olanda. I trattati recenti non sono stati posti al giudizio del popolo, tranne che in Irlanda, ma costringendola a votare fino all'accettazione. Questa fase in cui si procede senza consultare i cittadini è finita. Questo tipo di arroganza è finito.
- Nel maggio del prossimo anno ci saranno le elezioni per il Parlamento europeo, un test fondamentale per i partiti e movimenti scettici verso Bruxelles. L'Ue non sarà più la stessa?
Da studioso dell'economia mi trovo in difficoltà a rispondere. Posso dire che oggi il pericolo maggiore per i paesi dell'Europa meridionale si chiama crisi deflattiva, che potrebbe presto trasformarsi in una depressione economica in grado di rendere fuori controllo la traiettoria debito/Pil. E' un potenziale disastro. In questo contesto, la politica si deve porre l'obiettivo del ritorno di una serie di poteri sovrani delegati a Bruxelles e le elezioni europee del prossimo maggio saranno un evento potenzialmente epocale: i partiti scettici dell'attuale architettura istituzionale potrebbero essere i primi in diversi paesi – l'Ukip in Gran Bretagna, il Fronte Nazionale in Francia, il Movimento cinque Stelle in Italia, Syriza in Grecia ed in altri paesi – e sarà la possibilità per le persone di esprimere la loro irritazione e frustrazione contro le scelte da Bruxelles. Un blocco politico importante potrà distruggere questo "mito artificiale" che si è costruito: l'Ue non sarà più la stessa e sarà costretta ad essere meno ambiziosa e comprendere che molte delle sue prerogative devono tornare agli stati nazionali. I governi di Italia, Spagna, Francia devono riprendere il pieno controllo delle vite dei loro cittadini e non pensare all'allargamento all'Ucraina o alla Turchia. Si tratta dell'ultima battaglia.
In parole semplici la crisi finanziaria e l'Euro, che ci ha ridotto in mutande, mentre la Germania ne può trarre beneficio.
A voglia a dire che i tedeschi si meritano il loro successo mentre l'Italia è giusto che soccomba.
NO!
Le auto tedesche saranno pur buone, ma hanno mercato solo grazie all'Euro!
........la prossima settimana sarà calda, molto calda, e non c'entra l'anticiclone subtropicale.
Di detonatori ce ne sono molti, dal crollo del Monte Dei Pacchi alla Primarie (probabile flop) del PD, al semplice fatto che il Governo non riesce a trovare poche centinaia di milioni di euro per coprire i buchi IMU ma l'UE chiede 6 miliardi aggiuntivi()da ricavare attraverso tagli e svendita degli asset statali, che vi dicevo?) per una Legge di Stabilità che fa acqua da tutte le parti, i conti sulle entrate non tornano per niente, un fabbisogno dello stato che per il 2013 salirà a 100 miliardi (a novembre è 94,2 miliardi) contro i 62 miliardi del 2012, quindi +38 miliardi.
Oramai le menzogne di questo Governo (che tutto è sotto controllo, i conti sono ok e ci sarà la ripresa) sono vicine ad essere palesemente smascherate.
Una terza via per tentare di risollevare l'economia ed uscire dalla crisi è possibile. Basta seguire il metodo inglese (che pare abbia funzionato) per "costringere" le banche ad erogare prestiti a famiglie ed imprese.
PS(sembra che la Francia stia messa peggio di noi... ed ora che inizia a scricchiolare, i capoccioni della BCE cominciano a temere che l'Europa possa davvero collassare. E poi diciamocelo, possono fare gli schizzinosi con la Grecia, la Spagna e l'Italia, ma se si inserisce pure la Francia la bilancia tra "cattivi" e "buoni" inizia ad essere un po' troppo sbilanciata.
Però, anche se si iniziasse a vedere la luce (cosa tutt'altro che scontata), è comunque un gran fallimento dell'Europa, ma soprattutto dell'Europa meridionale (e quindi dell'Italia) che non ha avuto né la voglia né il coraggio di fare fronte comune, di unirsi per alzare la voce prima, lasciando che politiche di austerity e regressive uccidessero il tessuto imprenditoriale dei suddetti paesi, dimostrando una sudditanza totale alla Germania (sudditanza dei propri politici).
Oggi è il gran giorno della Bce. Porterà sotto zero i tassi sui depositi o lancerà la terza via per la ripresa chiamata "Fls"? Ecco di cosa si tratta
Oggi è il gran giorno della Banca centrale europea. Come ogni primo giovedì del mese si riunisce il consiglio direttivo dell'istituto di Francoforte guidato da Mario Draghi. È l'ultima seduta del 2013, un anno in cui la Bce ha tagliato per due volte il costo del denaro. A maggio lo ho ridotto dallo 0,75% allo 0,5% e a novembre, pur contro le indicazioni tedesche, lo ha portato al minimo storico dello 0,25% lasciando invariato il tasso sui depositi (la remunerazione data alle banche che depositano la liquidità presso la Bce) a quota zero.
Nel frattempo la gran parte degli oltre 800 istituti che tra dicembre 2011 e febbraio 2012 hanno ottenuto 1.040 miliardi di liquidità attraverso due prestiti Ltro (Long term refinancing operation) elargiti dalla Bce a condizioni agevolate (tre anni al tasso dell'1%) hanno restituito quanto preso, come dimostrano gli attivi della Bce che negli ultimi mesi sono scesi di oltre 700 miliardi.
A questo punto resta da chiedersi quello che deciderà la Banca centrale europea nell'ultima riunione dell'anno. Muoverà il costo del denaro? Porterà i tassi sui depositi sotto zero (per disincentivare le banche a parcheggiare liquidità a Francoforte ed esortarle invece a prestarla a famiglie imprese?) Lancerà un nuovo piano Ltro?
Nelle ultime ore è cresciuto il numero di analisti che si aspetta un rinnovo del piano Ltro di 9-15 mesi. Insomma altra liquidità in favore delle banche, alle prese con aggiustamenti dei conti disastrati dalla bolla dei derivati subprime scoppiata nel 2007 e non ancora del tutto digerita. Se così sarà, basterà per risollevare l'economia? La domanda assume ancor più significato dopo che ieri sono stati pubblicati gli indici Pmi che dipingono un'Europa quantomai spaccata e allontanano uno scenario di convincente e corale ripresa economica nel 2014. Nel dettaglio, nel mese di novembre l'indice Pmi che misura il livello di attività economica del settore dei servizi è sceso a 51,2 da 51,6 di ottobre. L'indice si è comunque confermato sopra la soglia dei 50 punti, lo spartiacque che divide le fasi di espansione da quelle di contrazione. Guardando alla quattro maggiori economie dell'Eurozona, la Germania «balla da sola», qui l'indice è salito a 55,7 da 52,9. Bene anche in Spagna dove sale a 51,5 da 49,6. In Francia invece scende a 48 a 50,9. Maglia nera l'Italia dove si registra una forte contrazione a 47,2 da 50,5.
A ciò si aggiunge il recente "warning" di Merrill Lynch sulla Francia. La banca di investimento ha indicato che «il vero malato d'Europa non è l'Italia ma la Francia a causa dei suoi grossi problemi strutturali». Anche il rendimento dei bond francesi a dieci anni non riflette a pieno la reale situazione del paese, soprattutto se si pensa che i BTp italiani sulla medesima scadenza pagano sensibilmente di più, attorno al 4%». Secondo Stefano Guglielmetto, responsabile investimenti di Merrill per l'Italia, la penisola non é un più il grande malato d'Europa ma semmai «il grande convalescente» alla luce delle misure varate sinora per fronteggiare la crisi.
Insomma, lo scenario di fondo non è entusiasmante. Anche perché gli ultimi dati (da più fonti) evidenziano che nel 2013 c'è stata ulteriore contrazione del credito a famiglie e imprese e che l'aumento della base monetaria della Bce (attraverso le offerte Ltro) non si è tradotto in un pari aumento dell'offerta di moneta. Questo perché gli istituti di credito hanno per larga parte preferito lasciare la liquidità presa in prestito a tassi agevolati nell'alveo della sfera della finanza, acquistando bond sovrani e sostituendosi in questo alla Bce che, ai sensi dell'articolo 123 del Trattato consolidato dell'Ue, non può farlo (non è prestatore di ultima istanza).
Per questo motivo se oggi (o nelle prossime sedute) la Banca centrale dovesse ripresentare un qualcosa di simile all'Ltro le speranze che ciò abbia effetti sull'economia reale che annaspa (dal 2007 il Pil dell'Italia è calato in termini reali dell'8,5%) sono davvero residue.
Piuttosto, tra gli esperti c'è chi propone una soluzione alternativa, una terza via. Seguendo questa nuova strada la Bce non dovrebbe far altro che emulare il programma seguito dalla Bank of England dal luglio del 2012 conosciuto con l'acronimo Fls che sta per Funding for landing scheme. Di cosa si tratta? È un finanziamento agevolato che la Bank of England ha erogato alle banche britanniche e alle società immobiliari (building societies) . La quantità del prestito è direttamente correlata ai prestiti che queste erogano a famiglie e imprese (economia reale). Sono, per dirla all'inglese e come riportato sul sito della Bank of England «linked to their lending performance».
In questo modo non c'è scampo. I soldi della banca centrale fuoriescono dal mondo della finanza per entrare in quello dell'economia reale, senza alcun rischio di contribuire a un processo di deindustrializzazione. I rischi? Dosi eccessive possono portare a una bolla del settore immobiliare. Ma questo dipende dall'abilità in politica monetaria della banca centrale di turno nel dosare i prestiti. Al momento i risultati in Gran Bretagna si sono visti: il Pil nel 2013 dovrebbe crescere dell'1,5% (in controtendenza rispetto alla media dei Paesi Ue) trainato proprio dal buon andamento del mercato immobiliare. La Bce può prendere appunti.
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........qui le ragioni del rigore tedesco e degli interessi stranieri nel comprare un'Italia in svendita, a prezzi di super saldo, da Black Rock ai tedeschi. Anche questo tutto ampiamente previsto ad inizio thread perchè prevedibile.
Come Volevasi Dimostrare:
ecco i numeri della demolizione dell'Italia.
Non ci risolleveremo più.
Spazzati via da un branco di incapaci... o più probabilmente di corrotti che hanno fatto di tutto per distruggere un paese certamente ricco di contraddizioni e di malaffare, ma anche di grande talento e di intelligenza imprenditoriale.
L'unica pecca del popolo è quella di essere completamente incapace di capire che bisognava svoltare cambiando radicalmente la propria classe politica corrotta ed interessata solo a mantenere il proprio status.
Ci dicevano di essere dei "complottisti", hanno tacciato di "populismo" chi li voleva cacciare, convinti di riuscire così a fregare di nuovo un popolo di pecore asservite... ci sono riusciti!
In breve:
- PIL: dal 2007 al 2013 -8,7% .
- PIL PRO-CAPITE: dal 2007 al 2013 - 9,1%.
- REDDITO REALE DISPONIBILE PER LE FAMIGLIE: dal 2007 al 2013 -10,2%.
- RICCHEZZA NAZIONALE: dal 2007 al 2013 persi 843 miliardi pari al -9%.
- PRODUZIONE INDUSTRIALE: dal 2007-2013 -25,5% .
Nello stesso periodo, a livello mondiale la produzione industriale è cresciuta del 10%.
- POTENZIALE INDUSTRIALE: dal 2007 al 2013 perso il 15%.
- NUMERO AZIENDE CHIUSE: nel periodo 2001-2013 perse 120mila fabbriche.
Nel periodo 2008-2013 hanno chiuso 75mila imprese artigiane. Il 2013 è stato l'anno record dei fallimenti: 111mila.
- DISOCCUPAZIONE: dal 2007 è più che raddoppiata: dal 6,1% al 12,7% attuale.
I disoccupati ufficiali sono 3milioni e 300mila, ai quali vanno aggiunti altri 3 milioni di persone che non si rivolgono ai centri per l'impiego (i cd. "sfiduciati").
Nello stesso periodo la Germania ha conosciuto invece il record storico degli occupati.
- DISOCCUPAZIONE GIOVANILE: dal 2007 ad oggi è più che raddoppiata, passando dal 20,3% del 2007 al 43% attuale.
- TASSO DI OCCUPAZIONE: è passato dal 58,7% del 2007 al 55,5% del 2013.
- POSTI DI LAVORO PERSI NELL'INDUSTRIA: dal 2001 persi 1 milione e 160mila posti di lavoro.
- CONSUMI DELLE FAMIGLIE: dal 2007-2013 -9,5%. Negli ultimi due anni: -4,3% del 2012, -2,6% nel 2013.
- POVERTÀ: secondo Eurostat gli "individui a rischio povertà o esclusione sociale" nel 2008 erano in Italia il 25,3%, 29,9% nel 2012. L' Istat è più preciso: Un italiano su dieci in povertà assoluta. Tra il 2012 e il 2013, l'incidenza della povertà assoluta è aumentata dal 6,8% al 7,9% (per effetto dell'aumento nel Mezzogiorno, dal 9,8 al 12,6%), coinvolgendo circa 303 mila famiglie e 1 milione 206 mila persone in più rispetto all'anno precedente. Povera o quasi una famiglia su cinque. Per quanto riguarda la povertà relativa in Italia 3 milioni e 230 mila famiglie sono sotto la soglia —si tratta dei nuclei composti di due persone che spendono meno di quanto avvenga nella media pro capite del Paese, cioè 972,52 euro mensili. Per la precisione, la loro spesa media nel 2013 è stata di 764 euro mensili, in calo dai 793,32 del 2012. Un dato che scende nel Mezzogiorno a 744 euro.
- DISUGUAGLIANZA: ne 2007 l'indice di Gini era di 0,31, nel 2013 era di 0,34. Per la cronaca nel 1992 era 0,27. Quel che possiamo dire è che la crisi ha accentuato le disuguaglianze. Con 0,34 l'Italia è risultata nel 2013 il paese più diseguale dell'Unione Europea dopo la Gran Bretagna.
- SALARI: con uno stipendio netto di 21.374 dollari l'anno, l'Italia si colloca al 23 posto nella classifica Ocse. Se la passano peggio degli italiani, in Europa, solo i portoghesi e gli abitanti dei Paesi dell'Europa orientale.
- RISPARMIO: a fronte dell'aumento dei cittadini sotto la soglia della povertà, sono cresciuti i denari lasciati in custodia alle banche: nel 2013 del + 5,7% sull'anno precedente, a 1.2016 miliardi di euro.
- DEBITO PUBBLICO: era al 103,3% del Pil nel 2007 nel 2013, ha raggiunto il 132,9% del 2013. L'ultimo rilevamento di Bankitalia ci dice che il debito pubblico ha toccato a maggio 2014 un uovo record storico: quota 2.166,3 miliardi. Con un aumento di 20 miliardi sul mese precedente.
- DEBITO PRIVATO qui possiamo fare i confronti con il 1998 (anno di ingresso nell'euro). Nel periodo 1998-2012 le variazioni sono state queste (in % sul Pil): imprese da 85 a 120%, banche e istituzioni finanziarie da 40 a 110%, famiglie da 30 a 50%. In questo periodo quello che è cresciuto meno è stato proprio il debito pubblico: dal 120 al 127% del 2012. In totale il debito (pubblico e privato) è passato dal 275% ad oltre il 400%.
- SOFFERENZE BANCARIE: dal 2007 al 2013 sono cresciute di +100 miliardi. Ad Ottobre 2013 le sofferenze lorde erano pari a 147,3 miliardi. In rapporto agli impieghi il 7,7%, il massimo dal 1999.
- FINANAZIAMENTI ALLE IMPRESE: malgrado i tassi della Bce siano prossimi allo zero, il tasso medio per i prestiti alle Pmi (dati ottobre 2013) è al 4,49%, mentre negli altri paesi dell'Eurozona una pmi a ottobre ha pagato in media un tasso del 3,83 per cento.
- TASSE: la tassazione ha raggiunto il 44% rispetto al Pil. Se si considera il periodo tra il 2011 e il 2012, soltanto l'Ungheria in Unione Europea ha conosciuto un aumento delle tasse rispetto al Pil superiore a quello dell'Italia.
E' ufficiale, siamo morti. A breve la comunicazione ufficiale. 31 Luglio 2014
Un paese in ginocchio, mutilato, raso al suolo dalla crisi inasprita dall’euro e dal regime di austerity imposto da Bruxelles per mantenere in vita la moneta unica. L’Italia sta letteralmente andando a pezzi: tutti se ne accorgono ogni giorno, mentre la disoccupazione dilaga, i consumi crollano, i negozi chiudono e le aziende licenziano. Ma il panorama si fa ancora più impressionante se si osservano, tutti insieme, i numeri della catastrofe. E’ quello che ha fatto il blog “Sollevazione”, pescando tutte le cifre ufficiali degli indicatori-chiave. Un bollettino di guerra, voce per voce. Produzione e ricchezza, industria e redditi, debito e risparmi. L’Italia in rosso, che sta precipando lontano dalla sua storia, senza neppure capire perché. Ognuno combatte, da solo, contro continui rovesci: non ci sono spiragli, non c’è alcuna “ripresa” nemmeno all’orizzonte. Ma nessuno racconta davvero l’assedio del panico, la paura sciorinata dai “crudi numeri”, che forse non fotografano «le dimensioni effettive del disastro economico e sociale che vive l’Italia», però «ci aiutano a comprenderlo».
Secondo gli analisti di “Sollevazione”, la resa matematica dell’Italia rivelata dai conti – la lingua spietata del pallottoliere – permette anche di «capire come le politiche austeritarie per tenere in piedi l’euro, il sistema bancocratico e il capitalismo-casinò, abbiano affossato il nostro paese», il cui Pil ha perso 8,7 punti percentuali a partire dal 2007, inclusa la manipolazione dello spread che ha “armato” la gigantesca manomissione operata da Monti e Fornero, con la loro “spending review” e la riforma-suicidio delle pensioni. Un’agenda peraltro proseguita da Letta: tagliare la spesa, ben sapendo che il “risparmio” dello Stato manda in crisi il settore privato, facendo calare il gettito fiscale e quindi esplodere il debito pubblico. Matteo Renzi? Niente di nuovo: neoliberismo puro, a cominciare dal Jobs Act per precarizzare ulteriormente il lavoro. Aggravanti: la neutralizzazione delle ultime difese sociali garantite dalla Costituzione, come vuole l’élite finanziaria, e l’eliminazione fisica dell’opposizione attraverso una legge elettorale come l’Italicum, definita peggiore – per le sue restrizioni – di quella che permise a Mussolini di consolidare il neonato regime fascista.
Tutto questo, mentre il paese soccombe ogni giorno: in sei anni, il Pil pro capite è calato di 9 punti (di 10, invece, il reddito reale disponibile per le famiglie). Stesse percentuali per la frana della ricchezza nazionale: -9% dal 2007 al 2013, pari a 843 miliardi di euro. C’era una volta l’Italia: nello stesso periodo, la produzione industriale è crollata addirittura del 25,5%. Sta andando in frantumi, grazie alla politica imposta da Berlino, il maggior competitore europeo della Germania. Tra il 2001 e in 2013, l’Italia ha perso 120.000 fabbriche. Sono cifre da scenario bellico, e non sono riguardano solo l’industria: ci sono anche le 75.000 imprese artigiane costrette a chiudere. Anno record per il fallimenti, l’infame 2013 delle “larghe intese”: qualcosa come 111.000 fallimenti, in appena dodici mesi. Contraccolpo catastrofico, la disoccupazione: dal 2001, con l’ingresso nell’Eurozona, l’industria italiana ha perso un milione e 160.000 posti di lavoro. Colpa anche dell’assenza di credito: nonostante ricevano denaro dalla Bce a tassi «prossimi allo zero», le banche continuano a finanziare le imprese con prestiti al 4,49%, mentre negli altri paesi dell’Eurozona l’interesse medio è al 3,8%.
Anche così il lavoro si estingue alla velocità della luce. Dal 2007, la piaga della disoccupazione è più che raddoppiata: dal 6,1% al 12,7 attuale. «I disoccupati ufficiali sono 3 milioni e 300.000», rileva “Sollevazione”, ai quali vanno però aggiunti «altri 3 milioni di persone», che ormai non si rivolgono neppure più ai centri per l’impiego: i cosiddetti “sfiduciati” fanno salire a quasi 6 milioni e mezzo il totale dei disoccupati italiani, proprio mentre la Germania del super-export vede salire ai massimi storici la quota degli occupati. C’è anche il trucco, naturalmente: un tedesco su quattro accetta i mini-job da 450 euro al mese. E’ la strada aperta in Italia dal Jobs Act di Renzi, di fronte a una platea oceanica di giovani senza lavoro: il 43%, più del doppio dei ragazzi disoccupati nel 2007. Sta male, comunque, la stragrande maggioranza dei salari italiani: «Con uno stipendio netto di 21.374 dollari l’anno, l’Italia si colloca al 23esimo posto nella classifica Ocse: se la passano peggio solo i portoghesi e gli abitanti dei paesi dell’Europa orientale». A valanga, la mancanza di impiego si traduce in forte calo dei consumi familiari, tagliati di quasi il 10% solo negli ultimi due anni. A farne le spese è anche il risparmio, continuamente eroso per far fronte all’emergenza economica, mentre la super-tassazione disposta dall’Ue ha raggiunto per l’Italia il 44% del Pil.
«Se si considera il periodo tra il 2011 e il 2012 – precisa “Sollevazione” – soltanto l’Ungheria, in Unione Europea, ha conosciuto un aumento delle tasse rispetto al Pil superiore a quello dell’Italia». E’ un circolo vizioso: imporre più tasse a chi già le paga, per tentare (inutilmente) di arginare il calo delle entrate, comunque – già oggi – superiori alla somma delle uscite: situazione che sarà ulteriormente aggravata dal Fiscal Compact e cronicizzata dall’inserimento del pareggio di bilancio nella Costituzione. In pratica, la fine dello Stato sociale e delle garanzie sui servizi vitali – scuola e sanità in primis, peraltro minacciate di privatizzazione forzata dal Ttip e dal Tisa, i trattati segreti euro-atlantici imposti dagli Usa, che Renzi preme per approvare in fretta. Cartina di tornasole di questa autentica catastrofe, il debito pubblico: era pari al 103,3% del Pil nel 2007, ma ha raggiunto il 132,9% nel 2013. «L’ultimo rilevamento di Bankitalia ci dice che il debito pubblico ha toccato a maggio 2014 un nuovo record storico: quota 2.166,3 miliardi, con un aumento di 20 miliardi sul mese precedente».
Va in rosso il conto delle famiglie, nel paese che prima dell’avvento dell’euro era il più risparmiatore d’Europa: rispetto al Pil, dal 1998 al 2012 il debito privato delle imprese è passato dall’85 al 120%, quello delle banche dal 40 al 110%, quello delle famiglie dal 30 al 50%. Paradossalmente, osserva “Sollevazione”, «in questo periodo quello che è cresciuto meno è stato proprio il debito pubblico», mentre il debito aggregato – pubblico e privato – è letteralmente esploso, dal 275% ad oltre il 400%. Spaventose pure le sofferenze bancarie, cresciute di 100 miliardi dal 2007 al 2013, per un totale di 147,3 miliardi di euro. Ed ecco l’ultimo gradino della tragedia: la povertà. Un fantasma che mette paura: l’esercito dei nuovi poveri e il timore che crescano furti e rapine ha aumentato del 5,7% i denari lasciati in custodia alle banche, oltre 1,2 miliardi di euro. Secondo Eurostat, gli «individui a rischio povertà o esclusione sociale» nel 2008 erano in Italia il 25,3%, e sono diventati il 29,9% nel 2012. L’ Istat è ancora più preciso: «Un italiano su dieci è in povertà assoluta».
Tra il 2012 e il 2013, spiega l’istituto di statistica, l’incidenza della povertà assoluta è aumentata dal 6,8 al 7,9%, coinvolgendo oltre 300.000 famiglie e 1 milione 206.000 persone in più rispetto all’anno precedente. «E’ povera, o quasi povera, una famiglia su cinque». Poi c’è la “povertà relativa”, quelle delle famiglie (sono quasi 3 milioni e mezzo) il cui portafoglio mensile è inferiore alla spesa media nazionale, 972 euro al mese. Sono famiglie che cercano di sopravvivere con meno di 800 euro al mese, che si riducono a meno di 750 nel Mezzogiorno, dove più evidenti sono le diseguaglianze che la “crisi” ha fatto esplodere. Nel 1992, l’Italia era un paese relativamente equilibrato: non c’era un abisso tra ricchi e poveri e la classe media era in ottima salute. Oggi, praticamente, è in via di estinzione e teme di sprofondare giorno per giorno verso la povertà. Nel 2013, l’Italia è risultato «il paese più diseguale dell’Unione Europea, dopo la Gran Bretagna». Solo che il Regno Unito non è ingabbiato dall’euro. Infatti, a Londra, economia e occupazione stanno decisamente meglio rispetto alla media dell’atroce Eurozona, di cui l’Italia – dopo la Grecia – è la vittima principale.
la situazione è disastrosa e continua a precipitare ogni giorno, ogni mese, ogni anno...
non ci sarà una reale via d'uscita fin quando almeno una fetta consistente della popolazione non avrà almeno sufficientemente chiaro cosa significa stare in questa "europa", cosa significa stare in questo "euro", cosa significa la parola "debito pubblico" etc etc
Mi sento a pezzi... impotente....ostaggio di una stampa consapevole e complice....ostaggio di un manipolo di furfanti che hanno un solo obiettivo: lasciarci marcire IGNARI!
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Bisognerebbe averla ancora la sovranità per poterla cedere,è almeno dal 2011 con Monti che questo è avvenuto (a voler essere generosi,dato che il progetto perchè ciò avvenisse risale a molto prima)......
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