Ecco l'articolo che pubblicai a suo tempo sul sito del Comune di Foligno. Sarei davvero contento se qualcuno raccogliesse altri ricordi ed osservazioni. Devo ammettere che dietro il mio interesse per questo episodio c'è anche un fattore sentimentale, personale. Fu infatti in conseguenza di esso che la famiglia del mio nonno materno dovette abbandonare il casale di campagna ed entrare nel mondo della fabbrica, della città.
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Parlando delle caratteristiche del mese di maggio, abbiamo visto come sia normale, in questi giorni, un breve ritorno del freddo ed un abbassamento delle temperature. Ma quello che si verificò fra il 7 ed il 9 maggio 1957 fu realmente un episodio straordinario: la più grave, anomala e dannosa ondata di gelo tardivo che l’Italia e l’Umbria abbiamo subìto nel XX secolo.
Con l’aiuto del prodigioso archivio storico del sito tedesco Wetterzentrale, cerchiamo di capire innanzitutto cosa accadde esattamente, e perché.
La primavera del 1957 è stata finora calda e piovosa; ideale per le colture. Ai primi di maggio sembra ormai certo un ottimo raccolto, con grande sollievo degli agricoltori. Molti ex mezzadri e coloni, anche grazie alla riforma agraria, sono da poco diventati proprietari. Hanno sostenuto ingenti spese, si sono indebitati, ma finalmente si sono anche liberati dal secolare rapporto di semiservitù con il loro padrone. Possono guardare al futuro con speranza. Non sanno ancora che un freddo, invisibile nemico, appostato al largo dell’Irlanda, sta tendendo loro un terribile agguato.
5 maggio 1957, ore 00 GMT

Una profonda depressione a carattere freddo (minimo 996 hpa sulla Svezia) si prepara a scendere sul Mediterraneo. Al largo dell’Irlanda, in pieno Oceano, è appena visibile una macchiolina di color rosso mattone: è l’Anticiclone delle Azzorre, in posizione del tutto anomala; non solo abbandona il Mediterraneo, ma traccia anche un sentiero per l’aria fredda, lungo le coste atlantiche, verso il nostro paese. Vedete come le isobare (le linee bianche che uniscono tutti i punti con identica pressione atmosferica) siano completamente orientate in direzione nord-sud.
Lunedì 6 maggio 1957, ore 00 GMT

La linea nera separa in sostanza l’aria polare da quella subtropicale, l’inverno dalla primavera. Rispetto al giorno precedente, infatti, si è portata molto più a sud, e nel corso di questa giornata invaderà completamente l’Italia. Un secondo vortice depressionario (1005 hpa.) si è formato sull’Alto Adriatico, ed aria fredda entra dalla Valle del Rodano. In mattinata, temporali e grandine sulla Pianura Padana. Neve in Trentino.
Lunedì 6 maggio 1957, ore 15 GMT
L’aria fredda irrompe sull’Italia centrale. Fra le 14 e le 18 la temperatura a Foligno scende di ben 10 gradi. Insieme al terribile minimo depressionario, che scivola lungo l’Adriatico, entra la bora. Nevica a Potenza, su tutto l’Appennino, ma anche sulle Murge. Nella notte sul 7, nevica sui monti della Valle Umbra. Bufere di vento spazzano Napoli.
Martedì 7 maggio 1957, ore 00 GMT


La depressione è ora sull’Italia meridionale; dalla Porta della Bora affluiscono sullo Stivale masse d’aria sempre più fredde, lungo un asse perfettamente orientato in senso Nord-Sud (l’area colorata in celeste).
Nel corso della giornata il sole non riesce a forare il denso strato di nubi; la temperatura rimane rigida, con una massima di 10° a Foligno città; oltre 11° in meno delle medie stagionali, un’anomalia veramente pazzesca.
Nelle campagne ci si prepara al peggio, pur senza crederci veramente. Alcuni proprietari illuminati distribuiscono candelotti fumogeni ai contadini; nel pomeriggio soffia un forte vento freddo con nevischio anche in pianura, ma a sera la depressione si sposta ancora verso sud-est, portando via con sé le nubi ed il vento. E’ il sereno; la fine. La notte avvolge la Valle Umbra con un tremendo presagio di sventura.
Martedì 8 maggio 1957, ore 6,00
A Foligno si registrano 0,0° nei quartieri più in collina, fino a –2° in pianura, dove però, negli strati più vicini al suolo, all’altezza delle giovani spighe di grano, si può stimare una minima di –4°. Stessi dati in tutte le valli dell’Umbria. La brina è talmente alta e fitta da sembrare neve. Molti contadini sono da un pezzo sui campi; le hanno tentate tutte per salvare il raccolto. Hanno acceso fuochi, hanno utilizzato i fumogeni. C’è chi, ingenuamente, bagna le viti per evitarne il congelamento. Ma il freddo è tale che il ghiaccio si forma dietro al suo passaggio, uccidendo le piante stesse. C’è chi piange, urla disperate si odono per tutta la pianura. I tecnici esaminano sconsolati le giovani piante di grano, i germogli dell’uva. Ma si capisce subito che non c’è più nulla da fare. Il raccolto è completamente perduto.
I danni più gravi si sono verificati in pianura, a causa dell’inversione termica. Già a Perugia città le minime non sono riuscite a scendere al di sotto dello zero. I danni variano molto, a seconda dell’umidità e della natura dei terreni. Particolarmente colpite le zone più basse ed argillose, fra Spello e Cannara.
Come ogni bravo killer che si rispetti, anche il nostro, compiuta la sua missione, torna silenziosamente nel buio di un’esistenza normale. Il giorno dopo, eccolo là, l’Anticiclone delle Azzorre, al suo posto: il massimo di 1025 hpa è dove dovrebbe essere, al largo dell’Africa. L’aria tiepida dell’Atlantico torna sull’Italia. Ma per l’agricoltura umbra è ormai troppo tardi.
La produzione vinicola diminuirà del 70% rispetto alla media, quella del grano fra il 50 ed il 75%. Perfino il foraggio va perduto, i poveri contadini dovranno acquistarlo da fuori.
A quasi 40 anni di distanza, riesce difficile per noi capire cosa significasse all'epoca un evento del genere. Vediamo qualche dato. Nel 1951 il 59,9% della popolazione attiva della provincia di Perugia lavora in agricoltura. Il 10% della popolazione attiva nell’industria si occupa della trasformazione di prodotti agricoli. Metà dei poderi almeno è occupata da grano, vite, olivo: le tre colture con raccolto compromesso. La resa media del grano è comunque ancora inferiore a 1:15. Ancora nel 1964, su un campione di aziende della Media Valle del Tevere, il 92% non è fornito di servizi igienici e l’83% non è allacciato all’acquedotto.
Dati simbolici, per capire perché la gelata del 1957 abbia concorso in misura importante ad innescare e ad accelerare il movimento di abbandono delle campagne umbre. Tra il 1951 ed il 1961 la popolazione in agricoltura cala di 66.275, il 34,3 per cento.
Per concludere, le parole di una testimone diretta: "Nei campi si era posata la brina come in gennaio, in collina tutti i germogli di uva ed olivo si erano gelati, mentre sul piano le coltivazioni di grano e foraggio sembravano distese di aghi di ghiaccio. A metà giornata il vento portò via del tutto le nuvole, lasciando scoperte intorno le punte dei monti imbiancate di neve (…). Il vento e la bufera avevano schiacciato le coltivazioni, creando enormi chiazze calpestate, come se un gigante si fosse divertito a fare le capriole sui campi, mentre i teneri grappolini di uva appena germogliati, ora scaldati dal sole, apparivano scuri ed ammosciati, come cotti. L’effetto del gelo era stato terribile." Il brano è tratto dal libro di Rina Gatti "Stanze vuote addio", Thyrus editore, Arrone, 2003