Perchè il Prodotto Interno Lordo (P.I.L.) non può essere preso come indice del benessere, neanche in senso strettamente economico?
Iniziamo con una bellissima citazione:
«Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base
dell’indice Dow Jones né i successi del Paese sulla base
del Prodotto Interno Lordo. Il PIL comprende l'inquinamento
dell’aria, la pubblicità delle sigarette, le ambulanze
per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine
del fine settimana… Comprende programmi televisivi
che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti
ai bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili
e testate nucleari. Il PIL non tiene conto della salute delle
nostre famiglie, della qualità della loro educazione e
della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la
bellezza della nostra poesia e la solidità dei valori familiari.
Non tiene conto della giustizia dei nostri tribunali, né
dell'equità dei rapporti fra noi. Non misura né la nostra
arguzia né il nostro coraggio né la nostra saggezza né la
nostra conoscenza né la nostra compassione. Misura tutto,
eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta»
Robert Kennedy - Discorso tenuto il 18 marzo 1968 alla Kansas University
e veniamo ad una critica più scientifica.
Un esempio della contraddizione fra aumento della ricchezza e del PIL e limitatezza delle
risorse naturali è offerto dalla “parabola della mucca”, proposta nel 1833 da un certo
Lloyd, un quasi sconosciuto demografo inglese, ripresa da Garrett Hardin, professore
di ecologia umana nell’Università della California, in un celebre articolo apparso nel dicembre
1968 nella rivista “Science” e che qui ripropongo con qualche aggiustamento.
Immaginate un pascolo, grande ma non illimitato, attraversato da un ruscello ricco di
acqua fresca e pulita. Una primavera un pastore porta a pascolare nel prato le sue dieci
mucche; le mucche passano l’estate al pascolo, trovano nel ruscello acqua
buona e nel prato erba abbondante, si nutrono e producono latte; i loro escrementi
cadono nel terreno e vengono assorbiti e anzi forniscono elementi
nutritivi per la crescita dell’erba la primavera successiva. Alla fine dell’estate sono contenti
tutti: il pastore che ha venduto il latte abbondante con un buon guadagno - il suo
personale “prodotto interno lordo”; le mucche che hanno vissuto bene; il pascolo che è
pronto a fornire erba quando tornerà la primavera, il ruscello che ha le sue acque ancora
incontaminate. Ma, si sa come sono gli uomini: durante l’inverno il pastore pensa
che potrebbe guadagnare di più se portasse a pascolare cinquanta mucche invece di dieci.
E così fa, quando arriva la primavera: ma adesso le mucche sono “troppe”, rispetto alla
dimensione del pascolo e alla portata del ruscello;
il pascolo non fornisce erba sufficiente, anche perché gli zoccoli delle mucche pestano
e schiacciano l’erba e fanno indurire il terreno; gli escrementi di così tante mucche
non sono più assorbiti dal suolo e ristagnano nel terreno e scorrono verso il ruscello che
viene così inquinato e non è più grado di fornire acqua da bere.
Alle fine dell’estate il pastore ha ottenuto un po’ più latte ed è aumentato il suo PIL, ma
non certo cinque volte di più dell’anno prima ed è infelice perché sono sfumate le sue
speranze di grandi guadagni; sono scontente le mucche che hanno trovato poca erba e
poca acqua pulita; è scontentissimo il pascolo la cui fertilità è compromessa e il suolo
indurito dagli zoccoli delle mucche ed è infelicissimo
anche il ruscello la cui acqua è ora sporca. L’avidità del pastore ha fatto sì che la
prossima primavera non ci sarà più erba né per cinquanta né per dieci mucche e neanche
per quelle dell’anno dopo, a meno di smettere di portare le pecore al pascolo per un po’
di tempo. La parabola spiega che non si può continuare ad aumentare la ricchezza monetaria,
di una persona o di un paese, senza impoverire la base fisica che genera tale PIL.