da "Europa":
Intervento di Roberto Della Seta, responsabile Ambiente dell'esecutivo nazionale del Partito democratico, da "Europa"
16 novembre 2007
I numeri e le tendenze illustrati su Europa da Chicco Testa per dare conto della gravità e dell’urgenza del problema energetico nei suoi diversi risvolti, lasciano poco spazio all’ottimismo.
Nel mondo sta crescendo rapidamente la domanda di energia, sulla spinta soprattutto del boom ormai stabile delle immense economie cinese e indiana. Ciò vuol dire che i consumi sono destinati ad aumentare di molto, e ancora per parecchi decenni a questo inc r e m e n t o del fabbisogno si dovrà fare fronte in prevalenza con i combustibili fossili: cioè con quelle fonti di energia, come Testa stesso sottolinea, da cui dipendono sia il global warming che le forme più tradizionali di inquinamento. Sole risposte possibili a queste prospettive apparentemente inconciliabili, l’innovazione tecnologica – per migliorare l’efficienza energetica, per rendere economicamente più competitive le fonti rinnovabili a cominciare dal solare, per ridurre l’impatto sull’ambiente e sul clima delle fonti fossili – e poi ripartire col nucleare.
Ora, non c’è dubbio che l’innovazione tecnologica sia una delle armi più preziose per fare in modo che nei prossimi decenni lo sviluppo economico dell’Asia, dell’America latina, domani auspicabilmente anche dell’Africa, non costino il collasso climatico dell’umanità.
Ma l’innovazione tecnologica da sola non basta. Serve pure, per provare a risolvere il rebus energetico, molta più politica: molte più politiche nazionali, molta più politica globale. Primo compito della politica, ad ogni livello, è convincersi e convincere che il global warming non è un problema soltanto ambientale: come ha dimostrato l’ormai celebratissimo Rapporto Stern, è prima ancora un elevatissimo, potenzialmente devastante costo economico.
Allora non si tratta di scegliere tra le ragioni dell’economia, dello sviluppo, e quelle – più virtuose ma meno concrete – dell’ambiente: la scelta è tra una ragione
economica miope e una più razionale e lungimirante.
Ridurre la dipendenza dei sistemi energetici dal petrolio e dal carbone è un interesse economico e sociale per l’intera comunità internazionale, e lo è a maggior ragione per i paesi industrializzati che con rare eccezioni importano la gran parte dei fossili che consumano.
È realistico questo obiettivo? Ed è perseguibile senza bisogno di aumentare il ricorso al nucleare? La prima domanda ha una risposta secca: per quanto ardua, difficile, quella di impegnarsi per accelerare la fuoriuscita dall’età del petrolio è la sola scelta possibile, se si vuole che conservi senso e valore la stessa idea di progresso. Va costruita, questa scelta, da tutti, ma con più impegno e responsabilità dai paesi industrializzati che nonostante la corsa di Cina e India continuano e continueranno a lungo a pesare sui consumi energetici e sulle emissioni inquinanti e dannose per il clima in misura molto superiore al loro peso demografico (insomma: passeranno tanti decenni prima che un cinese o un indiano consumino la stessa quantità di elettricità o producano le stesse emissioni di anidride carbonica di un europeo o peggio di un americano). Va costruita per primi dai paesi ricchi, ma non tutti i paesi ricchi, anche questo va sottolineato, finora si sono mossi nella giusta direzione: la Germania, il Regno Unito, molti paesi del nord Europa negli ultimi quindici anni hanno visto ridursi sensibilmente le rispettive emissioni che alterano il clima, perché hanno investito in efficienza energetica e in fonti rinnovabili. Altri paesi – gli Stati Uniti in primo luogo, ma anche l’Italia – questo non hanno fatto e per questo hanno aumentato il proprio contributo al global warming: in base al Protocollo di Kyoto noi avremmo dovuto ridurre del 6,5% le nostre emissioni di Co2 entro il 2012 rispetto al 1990; a oggi le abbiamo fatte crescere di oltre il 10%.
Il governo Prodi sta cercando di invertire questa tendenza, e proprio nella Finanziaria attualmente in discussione sono state introdotte norme finalmente efficaci per incentivare lo sviluppo delle fonti rinnovabili: ma recuperare il terreno perduto, che – non va dimenticato – è perduto anche in termini di innovazione e capacità competitiva, non sarà facile, come facile non sarà avvicinare gli obiettivi ancora più ambiziosi fissati dall’Unione europea al 2020 nel campo dell’efficienza, delle fonti rinnovabili, della riduzione delle emissioni climalteranti Infine vengo al tema del nucleare. Per me la parola nucleare non è un tabù, ma so che nessuno dei problemi che vent’anni fa spinsero 30 milioni di italiani a dire no alle centrali atomiche sono stati superati: non i problemi legati ai rischi d’incidente, non quelli dello smaltimento delle scorie, non quelli che il nucleare civile venga usato come cavallo di troia per arrivare alle armi nucleari che anzi nel mondo attuale, come sappiamo, è molto più grande che non vent’anni fa. Questi nodi irrisolti, insieme al costo tutt’altro che basso del chilowattora nucleare se dentro ci si considerano anche i costi di costruzione e di dismissione delle centrali e di trattamento delle scorie, fanno sì che in tutto il mondo il movimento ambientalista resti anti-nucleare, e spiegano al tempo stesso perché quasi nessun paese occidentale, nemmeno quelli che sul nucleare hanno puntato di più, negli ultimi anni abbia costruito nuove centrali. Se poi la ricerca porterà a un nucleare veramente sicuro, tanto meglio per noi tutti, anche per noi ambientalisti: ma fino a oggi non è successo.
La via per dare agli umani di oggi e a quelli di domani energia sufficiente per i loro bisogni e le loro aspirazioni di progresso senza che ciò metta in pericolo il benessere dell’intera umanità, è sicuramente stretta e non brevissima: anche per questo occorre percorrerla speditamente e acquistando tutti – i governi, le grandi imprese energetiche, i cittadini – la consapevolezza che ai problemi del global warming come a quelli del caro-petrolio si risponde guardando al futuro, non rivolgendosi a ricette – il carbone, l’attuale nucleare – che appartengono al passato.