Immaginiamo per un momento di vivere in un'altra città, che ha un clima diverso da quello a cui siamo abituati.
Tanto per cominciare, in gennaio gela praticamente ogni notte. Il cielo è generalmente sereno, la tramontana soffia gelida ed implacabile. Anche nei giorni più caldi, le massime non riescono ad andare oltre i 6, 7°.
Anche in primavera non c’è da stare molto allegri. Frequenti siccità, venti freddi, gelate e nevicate tardive, fino alla fine di aprile, rendono praticamente impossibile coltivare la maggior parte delle specie ortive e frutticole che ci sono familiari. La temperatura media minima del mese di maggio non supera i 7, forse 8°.
L’estate, poi, è totalmente diversa. Vi si concentra la maggior parte delle piogge: il grano viene raccolto in agosto, ma più spesso marcisce nei campi. Tremendi temporali causano improvvise e disastrose piene dei fiumi, che straripano spesso fin dentro la città, distruggendo le case. Fa quasi freddo, le gelate in giugno e settembre non sono eventi da fantascienza ma evenienze possibili, anche se rare. Se succede, i poveri muoiono di fame.
L’autunno. Stagione meno piovosa di quella di Foligno, talvolta mite, talvolta un mero anticipo dell’inverno. Che ricomincia a dicembre, di nuovo con una triste sequela di brine, nebbia, e tramontane. Quello che ci stupisce di più non è la quantità di precipitazioni, anzi, forse piove di meno. E’ questo freddo implacabile, continuo, che ci fa vivere, per quasi tutto l’anno, imbacuccati in abiti che prima ci sembravano improbabili, ridicoli. Il cappello è praticamente d’obbligo.
A questo punto, vi starete domandando dove diavolo siete capitati.
Non ci crederete, ma non vi siete mossi da casa, dalla nostra dolce, mite Foligno. Avete soltanto fatto un viaggio a ritroso nel tempo, anche in quello atmosferico. Il tempo che dovettero sopportare i nostri antenati vissuti durante la piccola età glaciale.
Germania, 1890. Gli astronomi Sporer e Maunder mettono insieme queste ed altre notizie analoghe, concludendo che nel periodo fra la fine del diciassettesimo e l’inizio del diciottesimo secolo l’attività solare cessò quasi del tutto, per ben settant’anni. Una differenza enorme, rispetto all’attuale comportamento del Sole. Il numero totale di macchie solari nell’arco dei settant’anni fu minore del numero che si riscontra in un solo anno di attività solare odierna.
Questa lacuna nell’attività della macchie è nota da allora cone “minimo di Maunder”, e viene ricollegata da molti studiosi ad una fase climatica particolarmente sfavorevole.
E’ infatti nell’ultimo scorcio del Seicento che la Piccola Età Glaciale raggiunge il suo apice. I terribili inverni del 1693/94 e del del 1694/95 mettono letteralmente in ginocchio l’Europa. Il Lago di Costanza gela al punto di poter sostenere il peso dei carri. In alcune zone d’Inghilterra la popolazione si riduce ad un terzo di quella precedente. L’inverno del 1683/84 è così freddo che il terreno gelò fino ad un metro di profondità, mentre fasce di ghiaccio marino compaiono lungo le coste dell’Inghilterra sudorientale e della Francia settentrionale. In diverse occasioni fra il 1695 ed il 1728 gli abitanti delle Isole Orcadi, nella Scozia settentrionale, ebbero la sorpresa di vedere un eschimese che pagaiava nel suo kayak lungo le loro coste.
Gli studiosi di storia del clima sono ormai giunti alla certezza che il periodo compreso fra il 1550 e il 1850 sia stato, almeno per l’Europa, il più freddo degli ultimi diecimila anni. Oltre alla ridotta attività solare, vengono chiamate in causa numerose eruzioni vulcaniche.
In linea generale, si stima che le temperature medie di questo periodo furono inferiori di circa 2° rispetto a quelle attuali: con una media di –1,5° in inverno, e di almeno – 3° per l’estate. Si registrava una gran variabilità da un anno all’altro, ma fu quasi costante il ripetersi d’estati fresche e piovose.
I disagi furono accresciuti dal fatto che i secoli precedenti, specie quelli compresi fra il 750 d.C. ed il 1200, erano stati molto caldi, con temperature paragonabili alle medie, già molto calde, dei nostri ultimi 10 anni.
Ancora nella prima metà del XVI secolo il clima era mediamente così caldo che la coltivazione dell'olivo si spingeva addirittura fino a Verchiano, per il cui olio il Comune bandiva regolarmente gare d'appalto.
Abbiamo voluto provare a ricostruire cosa accadde a Foligno in quegli anni, certamente molto difficili per chi li visse, ma straordinariamente interessanti per chi li studia con gli strumenti della meteorologia moderna. Questo viaggio è stato possibile grazie alla gran quantità di dati raccolti da Bernardino Lattanzi nel suo terzo volume della "Storia di Foligno", IBN editore. Abbiamo rintracciato gli episodi più rilevanti, cercando di capire, in termini meteorologici, i fenomeni più caratteristici del periodo.
1549: La metà del secolo è, per tutta Europa, il punto di svolta fredda. Anche a Foligno. Prima grande "galaverna". Gran nebbia con neve e gelate, assenza di vento: gelano gli ulivi delle zone di pianura. E’ qui evidente la traccia di una grande area anticiclonica fredda, forse seguita ad un flusso di aria fredda polare nordatlantica: lo stesso schema del 1985. Se si fosse trattato dell’alta russa, forse avrebbero ceduto tutti gli ulivi: il fatto che lo strato di aria fredda si limiti alla pianura sta a significare che in quota la situazione era diversa.
1557-58 Grande siccità in inverno e primavera. Sembra che in questi anni si sia ripetuta spesso. Incrociamo questo dato con la frequenza, nei racconti dell’epoca, delle irruzioni fredde primaverili (venti freddi, nevicate in montagna, etc). Succede spesso anche al giorno d’oggi, quando l’Anticiclone delle Azzorre, forte sulla Spagna e sul bacino occidentale del Mediterraneo, impedisce alle irruzioni fredde atlantiche di entrare sul Tirreno e formare la cosiddetta "Genova low". In questo caso, si ha la creazione di minimi sull’Alto Adriatico, in scorrimento veloce verso sud-est, al cui seguito entra aria fredda ed asciutta. Che l’Anticiclone delle Azzorre fosse allora particolarmente forte in primavera sull’Europa sud-occidentale può essere confermato dal fatto che la Spagna non compare mai nelle cronache della Piccola età glaciale.
Un altro fattore che può spiegare le siccità primaverili può essere stato il ridotto riscaldamento del Mediterraneo in estate, con conseguente rapido esaurimento durante l’inverno del calore accumulato.
Inverno 1586 Gravi gelate, con ghiaccio, neve e freddo. "Il giorno il sole disfaceva la neve e il ghiaccio e la notte righiacciava". Viti e olive patiscono più nei luoghi bassi. Torna nuovamente l’anticiclone freddo.
1588 13 agosto. La piena del Topino abbatte parte delle mura a Porta S.Giacomo. Alluvione in pianura: a Fiamenga il fiume abbatte addirittura una casa.
Qui occorre fare un discorso metodologico molto importante. Chiunque si interessi della storia del clima folignate deve fare molta attenzione nell’utilizzare le piene e le esondazioni del Topino come indici di precipitazioni eccezionali. Innanzitutto, la portata normale del fiume, allora indenne da captazioni alla sorgente, era molto più alta di quella attuale. In secondo luogo, le condizioni degli argini erano assai peggiori di quelle odierne: si trattava di strutture fragili, precarie, basse, minate alla base da innumerevoli canali di derivazione laterali praticati di nascosto dai contadini a scopo irriguo e lungo i fianchi dal pascolo selvaggio di numerosissime greggi, specie durante il periodo della transumanza.
In ogni caso, le piene estive del fiume durante la Piccola Età Glaciale devono ritenersi determinate da fenomeni temporaleschi estremamente significativi, certamente più violenti di quelli ai quali siamo oggi abituati.
1590 28 giugno. Ecco uno di questi terribili temporali estivi. Si tratta di un fenomeno a carattere frontale, ossia associato ad una irruzione fredda, probabilmente da est, di incredibile violenza: cadono chicchi grandi come uova di papere, pochi giorni dopo abbiamo addirittura la brina!!!
Una notizia molto interessante: enorme quantità di loglio nel frumento che veniva dalla montagna. Segno, probabilmente, di estesi e frequenti temporali di calore: l’irruzione fredda della fine del mese aveva lasciato a lungo il segno in quota.
Segue un secolo forse più clemente, o forse mancano le fonti. Ci rimane solo una testimonianza, ma davvero incredibile.
1688 Un anonimo incide su una stanza di Palazzo Trinci una straordinaria cronaca meteorologica, raccontando di quattro giorni di neve consecutivi durante il mese di ottobre e di successive tempeste anche in novembre.
Si arriva quindi al triste Settecento. Per l’Europa fu il secolo dei Lumi, ma per Foligno fu più che altro il secolo dei fulmini.
1702 A fine dicembre il Topino rompe gli argini a Budino.
1706 Un inverno secco, ventoso, dominato dalla tramontana. Non piove fino al 10 aprile. Stavolta è chiarissimo il dominio dell’anticiclone russo-siberiano. Gela il Topino… roba da matti!!
1707 1° maggio: la brina rovina tutti i raccolti.
1709 5 gennaio: abbondante nevicata. Successivamente, la diminuzione della temperatura è talmente forte, che il Topino gela!! Dalla nostra esperienza diretta, si può quindi stimare che la temperatura sia scesa a livelli prossimi ai 20° sotto zero… il fiume di Foligno non ci risulta abbia mai gelato in questo secolo, neanche nel 1929. L’abbondanza della precipitazione ed il fatto che la successiva diminuzione della temperatura sia stata avvertita come molto rilevante fa pensare ad una perturbazione atlantica, con caratteristiche di fronte caldo, venutasi a sovrapporre ad una preesistente situazione anticiclonica fredda e stabile, subito ripristinatasi.
L'inverno del 1708-1709 fu del resto per l'intera Europa il più tremendo di ogni tempo.
1714 Grandi piogge estive: il grano viene battuto fino a novembre. Dal 12 dicembre 1714 al 26 aprile 1715 siccità con tramontana e brinate.
1716 Grande carestia con freddo che dura fino a tutto maggio.
1723-24 Anno incredibile. Inverno caldissimo, senza precipitazioni, freddo né neve, neanche in montagna. In novembre, le cicale cantavano sugli alberi. Il 24 aprile, fronte freddo: nevicata di 9 ore, poi ennesima siccità primaverile che si prolunga nell’estate, non piove fino al mese d’ottobre.
1727 Il 20 aprile cade la brina. Il grano viene scuro, essendo mancate le piogge (quindi, nuova siccità primaverile).
1728 2 settembre: forte grandinata, forse coincidente con la rottura del caldo estivo. Il 7 dicembre la piena del Topino distrugge Ponte San Magno.
1739 Il 10 ottobre nevica in pianura (4 dita), segue un inverno umido e freddo con acqua, vento e neve. Incredibile gelata l’8 di settembre (avete letto bene). Piogge continue dal 4 novembre al 6 dicembre, quando il Topino straripa fin quasi a S.Eraclio e a Sterpete.
1765 Carestia per gelate tardive e abbondanti piogge estive.
1791 Il 10, 17 e 18 maggio nevica in montagna. Segno di una persistente circolazione fredda, non circoscritta ad un singolo episodio. Probabile persistenza di una conca depressionaria sul Mediterraneo centrale, con anticicloni su Spagna e Russia.
Dal 15 novembre 1793 al 22 maggio 1795 Totale assenza di piogge.