#1 marvel Ven 25 Nov, 2005 13:55
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#2 Fenrir Ven 25 Nov, 2005 14:05
Come dicevo, il giovamento è una cosa un po' arbitraria... l'ecosistema desertico ne soffre, animali e piante e compagnia bella vengono scombussolati e potrebbero avere difficoltà con tutta quell'acqua e via dicendo.. ogni ecosistema ha bisogno delle sue condizioni standard per sopravvivere al meglio, e quello desertico in particolare è molto delicato.
COMUNQUE!! Ho letto da qualche parte che è vero che le precipitazioni nell'area settentrionale del Sahara sono aumentate, e si vede spesso dal satellite. La cosa però è che la fascia arida pare si sia spostata decisamente verso l'equatore, producendo siccità devastanti nei paesi del Golfo di Guinea, con intere colture in rovina e alcune addirittura convertite in altri tipi di colture meno bisognose d'acqua.
Pare sia ormai comprovato.
Ma come non si parlava della tropicalizzazione dell'Europa e la desertificazione della Sicilia, Sardegna, Genova e NW? (gli ultimi due gentile concessione del pianto medio :D)... a me pare il contrario ;p
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#3 andrea75 Ven 25 Nov, 2005 14:16
Rivfader ha scritto: Come dicevo, il giovamento è una cosa un po' arbitraria... l'ecosistema desertico ne soffre, animali e piante e compagnia bella vengono scombussolati e potrebbero avere difficoltà con tutta quell'acqua e via dicendo.. ogni ecosistema ha bisogno delle sue condizioni standard per sopravvivere al meglio, e quello desertico in particolare è molto delicato.
COMUNQUE!! Ho letto da qualche parte che è vero che le precipitazioni nell'area settentrionale del Sahara sono aumentate, e si vede spesso dal satellite. La cosa però è che la fascia arida pare si sia spostata decisamente verso l'equatore, producendo siccità devastanti nei paesi del Golfo di Guinea, con intere colture in rovina e alcune addirittura convertite in altri tipi di colture meno bisognose d'acqua.
Pare sia ormai comprovato.
Ma come non si parlava della tropicalizzazione dell'Europa e la desertificazione della Sicilia, Sardegna, Genova e NW? (gli ultimi due gentile concessione del pianto medio :D)... a me pare il contrario ;p
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#4 marvel Ven 25 Nov, 2005 14:41
Rivfader ha scritto: Come dicevo, il giovamento è una cosa un po' arbitraria... l'ecosistema desertico ne soffre, animali e piante e compagnia bella vengono scombussolati e potrebbero avere difficoltà con tutta quell'acqua e via dicendo.. ogni ecosistema ha bisogno delle sue condizioni standard per sopravvivere al meglio, e quello desertico in particolare è molto delicato.
COMUNQUE!! Ho letto da qualche parte che è vero che le precipitazioni nell'area settentrionale del Sahara sono aumentate, e si vede spesso dal satellite. La cosa però è che la fascia arida pare si sia spostata decisamente verso l'equatore, producendo siccità devastanti nei paesi del Golfo di Guinea, con intere colture in rovina e alcune addirittura convertite in altri tipi di colture meno bisognose d'acqua.
Pare sia ormai comprovato.
Ma come non si parlava della tropicalizzazione dell'Europa e la desertificazione della Sicilia, Sardegna, Genova e NW? (gli ultimi due gentile concessione del pianto medio :D)... a me pare il contrario ;p
Si si, é cosí.
Mi ricordo un certo meteorologo che ha una certa trasmissione su una certa rete RAI il pomeriggio ad una certa ora... che diceva, nei primi anni 90, che l'italia era a rischio desertificazione... e non solo la Sicilia, ma anche la Puglia, e la Sardegna
Poi dopo qualche anno l'ho sentito parlare di tropicalizzazione...
Ora penso (spero) abbia smesso di dare certe informazioni.
Comunque il Sahara, appare falsamente immobile, invece, da ricerche paleontologiche e di paleoclimatologia, é venuto fuori che é una delle zone della Terra normalmente piú soggette a brusche variazioni (scatti climatici).
Solo qualche migliaio di anni fa era in gran parte coperto da praterie... nelle quali vivevano anche dei nostri antenati (laghi e fiumi erano comuni ed hanno lasciato traccia).
Anche la vastissima falda acquifera (acqua fossile) a cui attinge la Libia (in pieno deserto) sarebbe frutto di quel periodo piovoso ed umido.
PS(gli ecosistemi della zona, evidentemente, sono stati esposti a bruschi cambiamenti giá in passato)
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#5 marvel Ven 25 Nov, 2005 14:50
"MILANO IN SAHARA: gli studenti di Scienze Naturali e di Scienze della Terra in Acacus (Fezzan Libia). Un viaggio per studiare mutamenti climatici ed antiche culture.
Uno stage nel Sahara n. 2 Anno III, Maggio - 2004
di Mauro Cremaschi, Francesca Ferraro, Chiara Pizzi e Andrea Zerboni , Dipartimento di Scienze della Terra “A. Desio”, Università degli Studi di Milano
La scorsa torrida estate ci ha dato la concreta percezione che il clima cambia davvero e, fatto più inatteso, può cambiare in intervalli di tempo molto brevi, percepibili nell’arco di una generazione. Le possibili conseguenze del cambiamento climatico sono divulgate con insistenza dai mezzi di comunicazione di massa: ad esempio, se continuasse lo scioglimento dei ghiacci in atto, il conseguente innalzamento delle linee di coste sommergerebbe importanti città costiere (Venezia, New York, Bangkok…).
Per poter prevedere la direzione che il mutamento climatico prenderà in futuro è importante comprenderne i meccanismi, confrontando le condizioni climatiche attuali con quelle del recente passato, attingendo informazioni dagli archivi naturali. È anche importante studiare, mediante l’Archeologia e la Geoarcheologia come, in passato, le civiltà e le culture umane abbiano reagito o si siano adattate alle incertezze del clima.
I deserti della fascia tropicale, e principalmente il Sahara centrale, sono luoghi di grande interesse per studiare questo tipo di problemi. Quest’area infatti è stata teatro del più importante cambiamento ambientale avvenuto negli ultimi diecimila anni. Con la fine del Pleistocene, i deserti sono stati rimpiazzati da lussureggianti savane, densamente popolate di cacciatori prima e di pastori poi. Le condizioni aride hanno in seguito riguadagnato rapidamente il terreno perduto, e con esse si sono dovute confrontare le comunità umane che, nel volgere di poche generazioni, hanno visto esaurirsi le risorse dei territori su cui erano radicate stabilmente da millenni.
L’Università di Milano può vantare una lunga tradizione di studi geologici nel territorio libico del Sahara centrale. Iniziati settanta anni fa da Ardito Desio, ed integrati fin dall’inizio da ricerche archeologiche e naturalistiche, tali studi sono ripresi con la partecipazione del nostro Ateneo alle attività del C.I.R.S.A. (Centro Interuniversitario per lo Studio del Sahara Antico e delle zone aride), in collaborazione con la Missione Congiunta Italo-Libica facente capo all’Università “La Sapienza” di Roma.
In continuità e a complemento di questa linea di ricerca è stato organizzato un viaggio di studio che ha coinvolto studenti, laureandi e dottorandi dei Corsi di laurea di Scienze Naturali e Scienze Geologiche, dedicato alle variazioni ambientali e alle civiltà in ambiente arido. Meta ed oggetto del viaggio sono stati il massiccio montuoso del Tadrart Acacus e l’adiacente mare di dune dell’Erg Uan Kasa, nella Libia meridionale, in pieno deserto sahariano, presso il confine con l’Algeria.
Il Tadrat Acacus è universalmente noto per il patrimonio archeologico e d’arte rupestre.
In quest’area, abitata dall’inizio dell’Olocene da comunità di cacciatori e raccoglitori, si è successivamente sviluppata, precocemente rispetto al resto dell’Africa e al Mediterraneo, la civiltà pastorale. A testimoniare le vicende preistoriche non sono solo i depositi archeologici, ma anche una serie di gallerie d’arte rupestre tra le più ricche e meglio conservate del mondo, che ci consentono di studiare non solo la cultura materiale delle popolazioni preistoriche, ma anche gli aspetti sovrastrutturali (credenze, riti, religioni). Una parte di tali manifestazioni artistiche rappresenta animali selvatici, come elefanti, ippopotami, rinoceronti, o animali domestici, ad esempio buoi, che non possono vivere nell’ambiente odierno, troppo arido per sostenere una biomassa così grande, e che quindi postulano l’esistenza di condizioni climatiche più umide nel passato.
Scopo del viaggio di studio è stato quello di individuare le tracce geologiche di tali condizioni nelle pieghe del paesaggio attuale, scolpito in rocce antichissime ed erede di forme altrettanto antiche.
Le montagne innanzi tutto. Il Tadrart Acacus è un massiccio montuoso formato da arenarie paleozoiche, ricco di grotte e ripari. Come ad ogni altra latitudine, le grotte agiscono come “trappole” sedimentarie e tendono a conservare quanto vi si accumula. Così in molte delle grotte e cavità dell’Acacus sono conservati depositi che documentano ad un tempo gli ambienti che si sono succeduti negli ultimi millenni e le comunità che in tali ambienti hanno vissuto. In diverse strutture di questo tipo sono stati notati depositi travertinosi in forma di stalattiti e stalagmiti: si tratta di un fenomeno sorprendente, non solo perché i carbonati sono assenti dalle rocce dell’Acacus - composte da granuli di quarzo cementati da quarzo - ma soprattutto perché i travertini richiedono per formarsi molta acqua, acqua di cui il massiccio montuoso è oggi quasi completamente privo. Datazioni radiometriche ed analisi isotopiche indicano che i travertini si sono formati tra i quattordicimila ed i diecimila anni fa, a causa delle intense piogge sospinte in pieno Sahara dal monsone di Sud Ovest; questi depositi segnano l’inizio del periodo umido sahariano.
Gruppi di cacciatori e raccoglitori raggiunsero il massiccio dell’Acacus alcuni millenni dopo l’inizio delle grandi piogge. Tracce dei loro accampamenti sono state riconosciute in alcune grotte (Uan Afuda, Uan Tabu ed altre) e sono costituite, oltre che da residui di focolari e manufatti, da una grande quantità di resti vegetali, fra cui, soprattutto, steli di erbe raccolte nei dintorni ed accumulate intenzionalmente in grotta, frammiste a sterco capriovino. La presenza di questo materiale, che viene fatta risalire a più di ottomila anni fa, va interpretata come un tentativo - precoce rispetto ad altre aree – di allevamento domestico, in grotta, di capre selvatiche (Ammotragus lervia).
L’abitudine di utilizzare grotte e ripari come stalla per gli animali e dimora per gli uomini diventa generalizzata nel successivo periodo pastorale: il suolo è ricoperto da uno spesso strato di stallatico perfettamente conservato, mentre le pareti ospitano spesso dipinti che rappresentano mandrie di buoi di capriovini e scene di vita pastorale
I depositi pastorali registrano nell’intervallo di tempo della loro formazione (un periodo compreso tra settemila e cinquemila anni dal presente) una sensibile variazione climatica. In quelli più antichi si osservano materia organica humificata e concrezioni di gesso, ad indicare la presenza di una certa umidità nell’ambiente, tale almeno da consentire processi di alterazione di migrazione di soluti. Negli strati più alti lo sterco capriovino, laminato per calpestio, è perfettamente conservato, grazie allo stabilirsi di un clima arido, che ha impedito ogni processo di degradazione della sostanza organica. A cinquemila anni radiocarbonici da oggi un drammatico quanto rapido disseccamento ha portato all’abbandono di gran parte dei ripari della regione montuosa.
Le dune dell’Erg Uan Kasa sono state frequentate assiduamente dalle stesse popolazioni preistoriche dell’Acacus: più di 800 siti archeologici di età mesolitica e pastorale sono stati scoperti nel corso delle ricerche effettuate negli ultimi anni. La ragione di una presenza archeologica così notevole risiede nella particolare reazione delle dune all’arrivo delle piogge monsoniche. Esse hanno agito come grandi spugne assorbendo l’acqua meteorica, distribuendola alla loro base lungo gli ampi corridoi che separano i cordoni dunari e dando luogo alla formazione di piccoli specchi lacustri e paludi. La presenza di questi ultimi è confermata da una varietà di depositi e suoli tipici di acque ferme e condizioni idromorfe, contenenti molto spesso gusci di gasteropodi di acqua dolce. Le sponde dei laghi sono testimoniate da suoli organici e torbe talora contenenti i resti dei grandi animali della savana (rinoceronti, elefanti, ippopotami) ma anche di coccodrilli e pesci.
I siti archeologici si dispongono sistematicamente al margine degli laghi, ad indicare che erano queste zone a costituire la principale attrattiva per le antiche popolazioni. I siti tardo-paleolitici e mesolitici si trovano in genere sul fondo dei bacini, sepolti dai depositi lacustri, mentre quelli di età pastorale costeggiano le linee di riva. Caratterizzati da un’estensione di molte centinaia di metri, sono costituiti da un tappeto di pietre appositamente trasportate sul luogo, tra cui si distinguono macine e macinelli. Vi sono poi pozzetti, antichi focolari e pozzi-magazzino che racchiudono talora vasi interi, resti di fauna - bovini principalmente - e macine accuratamente riposte. Il contesto archeologico e la provenienza dei materiali usati nella litotecnica collega i siti perilacustri a quelli nelle grotte della montagna: entrambi erano i poli, frequentati su base stagionale, di una pastorizia transumante fra pascoli montani e laghi nelle dune.
Le numerose datazioni radiocarboniche disponibili collocano l’inizio dell’evoluzione dei laghi attorno a 8500 anni fa. Dopo un periodo di crisi databile a 8000 anni dal presente, i laghi si estendono progressivamente nella prima parte dell’Olocene, raggiungono il loro apice nel sesto millennio e risultano completamente disseccati tremila anni dopo, nel periodo che corrisponde all’instaurarsi di condizioni aride nelle montagne. L’inaridimento del cinquemila è un episodio importante, di grande rilevanza locale, ma anche di rilievo globale, poiché segna alle medie latitudini l’inizio del periodo Neoglaciale e un generale inasprimento del clima. A livello locale questo mutamento costrinse le comunità pastorali ad abbandonare il proprio territorio per cercare aree in cui la disponibilità d’acqua potesse persistere (è in questo momento che nascono le oasi) o a cercare di adattare il proprio sistema di sostentamento al deserto. "
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#7 Sunrise Ven 25 Nov, 2005 20:20
Rivfader ha scritto: Come dicevo, il giovamento è una cosa un po' arbitraria... l'ecosistema desertico ne soffre, animali e piante e compagnia bella vengono scombussolati e potrebbero avere difficoltà con tutta quell'acqua e via dicendo.. ogni ecosistema ha bisogno delle sue condizioni standard per sopravvivere al meglio, e quello desertico in particolare è molto delicato.
COMUNQUE!! Ho letto da qualche parte che è vero che le precipitazioni nell'area settentrionale del Sahara sono aumentate, e si vede spesso dal satellite. La cosa però è che la fascia arida pare si sia spostata decisamente verso l'equatore, producendo siccità devastanti nei paesi del Golfo di Guinea, con intere colture in rovina e alcune addirittura convertite in altri tipi di colture meno bisognose d'acqua.
Pare sia ormai comprovato.
Ma come non si parlava della tropicalizzazione dell'Europa e la desertificazione della Sicilia, Sardegna, Genova e NW? (gli ultimi due gentile concessione del pianto medio :D)... a me pare il contrario ;p
Bhè, spesso, sui documentari in TV, si vedono quei curiosi animaletti del deserto che vivono sotterrati per anni nell'attesa di periodi favorevoli, ad esempio ricordo di una rana, o forse si trattava di un rospo, che viveva anni ed anni sotterrato...ed alla prima pioggia usciva tutto contento a sgranchirsi le zampe e a fare la bella vita... per poi tornarsene nel sottosuolo fino alla prossima uscita.
E pensare che alcuni esseri umani si lamentano di fare una vita monotona e sedentaria e di uscire troppo poco
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#8 marvel Sab 26 Nov, 2005 09:27
Sunrise ha scritto: Rivfader ha scritto: Come dicevo, il giovamento è una cosa un po' arbitraria... l'ecosistema desertico ne soffre, animali e piante e compagnia bella vengono scombussolati e potrebbero avere difficoltà con tutta quell'acqua e via dicendo.. ogni ecosistema ha bisogno delle sue condizioni standard per sopravvivere al meglio, e quello desertico in particolare è molto delicato.
COMUNQUE!! Ho letto da qualche parte che è vero che le precipitazioni nell'area settentrionale del Sahara sono aumentate, e si vede spesso dal satellite. La cosa però è che la fascia arida pare si sia spostata decisamente verso l'equatore, producendo siccità devastanti nei paesi del Golfo di Guinea, con intere colture in rovina e alcune addirittura convertite in altri tipi di colture meno bisognose d'acqua.
Pare sia ormai comprovato.
Ma come non si parlava della tropicalizzazione dell'Europa e la desertificazione della Sicilia, Sardegna, Genova e NW? (gli ultimi due gentile concessione del pianto medio :D)... a me pare il contrario ;p
Bhè, spesso, sui documentari in TV, si vedono quei curiosi animaletti del deserto che vivono sotterrati per anni nell'attesa di periodi favorevoli, ad esempio ricordo di una rana, o forse si trattava di un rospo, che viveva anni ed anni sotterrato...ed alla prima pioggia usciva tutto contento a sgranchirsi le zampe e a fare la bella vita... per poi tornarsene nel sottosuolo fino alla prossima uscita.
E pensare che alcuni esseri umani si lamentano di fare una vita monotona e sedentaria e di uscire troppo poco 
Bhé, povero rospo, magari potremmo organizzargli un bel party per le sua uscita epocale... almeno torna in letargo appagato
Comunque dopo le piogge nel deserto spesso si assiste ad una vera e propria esplosione di vita, con piante che spuntano dal niente e che fioriscono nell'arco di pochissimi giorni. Insetti e animaletti che si scatenano durante il loro martedí grasso... e poi pian piano tutto si spegne nuovamente. Insomma, la vita aspetta di nascosto la prossima grande festa. Questo mi fa capire che in caso di cambiamento climatico, che dovesse portare queste zone ad essere nuovamente umide e fertili, non ci vorrebbe poi molto tempo a vederle nuovamente ricoperte di vita.
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#9 burjan Sab 26 Nov, 2005 09:56
Ho seguito con grande interesse la discussione aperta su questo topic. Come già detto, il Sahara è una struttura mobile, ferma restando la inevitabilità delle strutture anticicloniche permanenti ai margini della cella di Hadley.
E' normalmente soggetto a cicli, di diversa lunghezza, di ampliamento e contrazione. Secondo B.Fagan, il ciclo piovoso iniziò intorno al 4.500 a.C. , con medie pluviometriche fra 100 e 400 mm. (non c'era comunque da scialare), per concludersi drammaticamente intorno al 2.500 a.C., con il ritorno del deserto alle condizioni attuali. Un periodo di contrazione simile a quello attuale dovrebbe essersi verificato nei primissimi secoli dell'era volgare, quando la Tunisia divenne il granaio di Roma.
Ma sull'ecosistema desertico e predesertico pesano non solo i fattori meteo. Anche l'utilizzazione del suolo da parte degli uomini può determinare modificazioni nel microclima. La coltivazione della canna da zucchero in Marocco da parte degli arabi fece più danni di qualsiasi siccità.
____________ Il dono della previsione è far comprendere quanto sia perfettamente inutile dare una risposta alle domande sbagliate (Ursula Le Guin)
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