Questa è proprio nuova. I rimboschimenti a conifere non mi erano mai stati simpatici, ma che fossero così dannosi non lo immaginavo proprio.
Cambiare la composizione degli alberi nelle foreste significa alterare non solo il ciclo del carbonio, ma anche, e in misura considerevole, le temperature superficiali del pianeta: per questo le pratiche di riforestazione possono dare un contributo alla mitigazione del cambiamento climatico.
Purtroppo però le scelte fatte negli ultimi anni peggiorano la situazione invece di migliorarla: lo affermano due nuovi studi apparsi su “Science” che sottolineano come le attività umane possano avere conseguenze sul clima più gravi di quanto ritenuto finora, e dimostrano che occorre molta più attenzione e consapevolezza nelle pratiche di riforestazione.
Nel Vecchio Continente, i processi di deforestazione e di riforestazione hanno avuto alterne vicende. Si calcola infatti che tra il 1750 e il 1850, siano andati perduti 190.000 chilometri quadrati di foreste, per effetto dello sfruttamento intensivo del legname. Con la metà del XIX secolo è iniziato invece lo sfruttamento dei combustibili fossili, che ha reso superfluo il taglio massiccio degli alberi. Inoltre, sono state introdotte pratiche di agricoltura intensiva, per cui non erano più necessarie grandi aree da dedicare alle coltivazioni. Il risultato complessivo è che l'area ricoperta da foreste ha riguadagnato 386.000 chilometri quadrati tra il 1850 e il 2010.
La riforestazione tuttavia è avvenuta principalmente piantando specie di maggiore valore commerciale, come il pino silvestre, l'abete rosso e il faggio. Le conifere sono quindi aumentate di 633.000 chilometri quadrati, a spese delle latifoglie, la cui copertura è diminuita di 436.000 chilometri.
Per capire l'impatto di questa conversione di specie vegetali, Kim Naudts del CNRS Université Paris-Saclay e colleghi di una collaborazione internazionale, autori del
primo articolo, hanno ricostruito 250 anni di gestione della foreste, calcolando i cambiamenti di evapotraspirazione, cioè della quantità d'acqua che dal terreno e dalle piante rientra in atmosfera in forma di vapore, e di albedo, cioè la quantità di energia solare riflessa dalla Terra verso lo spazio.
L'analisi ha permesso di stimare che, dal 1850 a oggi, si è accumulato un debito di carbonio, cioè uno sbilanciamento tra emissioni e assorbimento di anidride carbonica, pari a 3,1 milioni di tonnellate. Inoltre, nello stesso periodo, si è determinato uno squilibrio energetico, cioè un eccesso di radiazione termica assorbita dal pianeta rispetto a quella riemessa nello spazio, di 0,12 watt per metro quadrato, con un incremento di 0,12 gradi nelle temperature atmosferiche.
Nel secondo studio, Ramdane Alkama e Alessandro Cescatti del Joint Research Centre, Institute for Environment and Sustainability di Ispra, in provincia di Varese, descrivono come i cambiamenti nella copertura globale forestale stiano influenzando i flussi di energia e di acqua tra il terreno e l'atmosfera nelle diverse regioni.
La loro analisi, basata su dati da satelliti della copertura forestali superficiali e delle temperature, dimostra che le variazioni nelle coperture forestali amplificano l'escursione termica diurna e incrementano la temperatura media e quella massima, specialmente nelle zone aride. Il contributo di queste variazioni al riscaldamento climatico globale legato allo sfruttamento dei terreni è notevole: per il decennio 2003-2012, è stato pari al 18 per cento.
Complessivamente, i due studi indicano che la gestione umana delle foreste sta contribuendo ad accentuare il riscaldamento climatico invece di mitigarlo, malgrado un complessivo incremento della copertura degli alberi.
Da LeScienze.it