Nel numero di maggio del mensile scientifico "Le Scienze" si poteva leggere un articolo dal titolo: "Quando iniziammo ad alterare il clima".
L'articolo, che prestava l'immagine anche alla copertina, che raffigurava la Terra in fiamme appoggiata su un blocco di ghiaccio, intendeva affrontare un tema che da diverso tempo é dibattuto nell'ambiente scientifico vicino ai temi climatici e paleoclimatici. In poche parole si affrontava l'ipotesi che le pratiche agricole e di allevamento dei nostri antenati possano aver contribuito, in modo influente, all'avvio del riscaldamento globale migliaia di anni prima della Rivoluzione Industriale.
Nonostante la mia riluttanza a dare importanza ad una semplice ipotesi, non avallata ancora da ricerche scientifiche, ho letto l'articolo, trovando, comunque, degli spunti di riflessione ma anche delle curiose incongruenze e delle evidenti forzature.
L'autore é il geologo marino William F. Ruddiman, professore all'Universitá della Virginia, con alle spalle numerose ricerche nel campo dei sedimenti oceanici, presso la Columbia University, lo US Naval Oceanographic Office nel Maryland e il Lamont-Doherty Earth Observatory (insomma, non proprio un pivellino in questo genere di studi).
Egli porta avanti un discorso abbastanza logico che, partendo dalle ciclicitá climatiche naturali, con cause soprattutto astronomiche (per chiarezza: quelle di 100.000, 41.000 e 22.000 anni che sono capaci di far variare la quantitá di radiazione solare che raggiunge le varie parti del globo in una data stagione fino a cambiamenti del 10%) si concentra, poi, sugli ultimi 3 milioni di anni, periodo in cui si é avuta una lunga sequenza di glaciazioni separate da brevi periodi interglaciali.
I periodi di massimo interesse per gli studiosi di paleoclimatologia sono le fasi di passaggio tra una glaciazione ed il periodo interglaciale, infatti non sempre tali passaggi hanno avuto lo stesso tipo di variazione, in alcuni casi si sono avute variazioni intense nelle concentrazioni atmosferiche dei gas serra ed in altre queste variazioni sono state minime o sfalsate, o, ancora, non sono variate come nei casi precedenti.
Ruddiman, parlando del carotaggio del ghiaccio antartico che porta alla luce ben 400.000 anni di storia climatico-atmosferica globale, descrive accuratamente la cronistoria dei cambiamenti di concentrazioni dei gas cercando, giustamente, di motivarle.
Ad esempio, le concentrazioni di metano fluttuano principalmente con periodicitá, di 22.000 anni, legata al ciclo orbitale di precessione. La Terra ruotando intorno al proprio asse ondeggia come una trottola, avvicinando ed allontanando dal Sole l'emisfero settentrionale, questo fa si che a seconda che i continenti dell'emisfero nord siano piú vicini al Sole nel periodo estivo o in quello invernale, si hanno delle importanti variazioni termiche e quindi una notevole influenza sull'apporto di metano in atmosfera che, principalmente, deriva dalla decomposizione vegetale.
Infatti, dopo essere entrata nella fase di pieno rigoglio, in tarda estate, la vegetazione muore, decomponendosi ed emettendo carbonio sotto forma di metano.
Quando si ha una fase di massimo riscaldamento estivo aumenta la produzione di metano, sia per le inondazioni provocate, in Asia meridionale, dall'aumento dell'intensitá dei monsoni che soffiano verso nord dopo aver raccolto molta umiditá, scaricandola in regioni che altrimenti resterebbero asciutte, sia perché, molto piú a nord, in Asia ed in Europa, il disgelo delle paludi boreali dura per periodi molto piú lunghi.
Quindi ogni 22.000 anni entrambi i processi portano ad un aumento di produzione naturale di metano.
Invece quando é l'emisfero meridionale ad essere nella fase di massima vicinanza estiva al Sole non vi sono processi di intensitá paragonabile tali da compensare la diminuzione di metano in atmosfera.
Anche 11.000 anni fa, all'inizio dell'attuale fase interglaciale, il metano aveva raggiunto il picco, dato che la radiazione solare aveva il massimo di incidenza sul nostro emisfero, ma poi, col trascorrere dei millenni, mentre la radiazione incidente diminuiva, il metano non continuava a scendere come in passato.
Inizialmente, dopo il picco di 700 ppm (parti per milione), il metano aveva iniziato a scendere di concentrazione, come sarebbe normale attendersi, ed avrebbe dovuto raggiungere il minimo di 450 ppm ai nostri tempi (durante il minimo di radiazione solare e l'inizio di una nuova fase glaciale), ma invece, 5000 anni fa, la linea di tendenza cambió e la concentrazione ricominció a salire.
In parole povere le concentrazioni di metano aumentarono proprio quando avrebbero dovuto diminuire ritornando a salire fino a 700ppm poco prima della rivoluzione industriale.
Un andamento simile, anche se meno sensibile, lo ha avuto anche la CO2.
Tra le varie ipotesi di questa "anomalia" vi sono anche fattori in grado di influenzare naturalmente il clima, come l'espansione delle paludi artiche, i cambiamenti della chimica degli oceani, etc, ma l'ipotesi che piú desta l'attenzione di Ruddiman é quella del fattore umano.
Effettivamente la coincidenza dei cambiamenti atmosferici con i progressi delle attivitá di allevamento ed agricoltura (disboscamento) fa riflettere, e qui iniziano le prime contraddizioni e forzature di Ruddiman, infatti bisogna ricordarsi che, almeno fino a 3000 anni fa, non si trattava di azioni molto diffuse ed invasive. E' vero che i cinesi iniziarono a coltivare il riso 8000 anni fa, ma le zone utilizzate erano limitate, idem per l'indonesia e per l'Europa, dove, ancora durante il periodo romano, la maggior parte delle terre erano ricoperte da foreste.
Molte zone, come l'inghilterra e l'Irlanda, vennero velocemente disboscate, fino ad un 90% della superfice...ma che cosa sono quelle terre in confronto alle sterminate foreste e paludi naturali che sono rimaste praticamente incontaminate fino al 1700-1800?
Inoltre, proprio quando il discorso inizia a filare, proprio quando il geologo riesce a farmi pensare che, in effetti, prima di allora l'uomo non aveva mai iniziato a bruciare le foreste, dato che la maggiore fonte di sostentamento era data proprio dalla caccia e dai prodotti del sottobosco, proprio quando inizio a pensare che le foreste incendiate avrebbero potuto produrre molta CO2 e metano, diminuendone, contemporaneamente, l'assorbimento naturale... ecco che il geologo mi tira fuori una azzardata, quanto improbabile, associazione delle variazioni delle concentrazioni dei gas (diminuzioni ed aumenti negli ultimi 2500 anni) con le grandi epidemie del passato (compresa la peste ed il vaiolo) associando, poi, tali diminuzioni di concentrazione (che effettivamente ci sono state) con dei periodi freddi del passato, anche se, a mio modo di vedere, é molto piú plausibile che siano state le diminuzioni termiche ad aver influenzato l'andamento delle concentrazioni dei gas ed anche il peggioramento delle condizioni di vita delle popolazioni e quindi le epidemie che ne sono seguite (anche dai grafici non é evidente quale sia stata la causa e quale l'effetto).
Praticamente, secondo lui, la diminuzione di popolazione avrebbe fatto diminuire immediatamente i consumi, gli incendi e quindi dimunuito laproduzione di gas serra ed avvantaggiato il rimboschimento naturale, favorendo una diminuzione termica...tutto nel giro di pochi anni! Magari bastasse cosí poco!
Insomma, ho ritrovato un po' la solita tendenza serrofila a motivare tutto partendo dai gas (a tutti i costi) a testa bassa, senza alzare lo sguardo per intravedere eventuali alternative.
Invece una parte molto interessante é quella che cerca di verificare se sia stato possibile che un'azione antropica sulle caratteristiche distribuzioni natrurali della vegetazione sulle terre emerse, abbia potuto, effettivamente, contrastare una probabile glaciazione di origine astronomica, che secondo lo scienziato (ma non solo lui) avrebbe dovuto essere iniziata giá da diverso tempo.
Infatti, a parer suo, senza questa sovrapposizione tra influenza antropica ed andamento astronomico, avremmo dovuto registrare un aumento piú cospicuo delle temperature da 5000 anni a questa parte in caso di sola influenza antropica, oppure una diminuzione importante per la sola influenza astronomica.
Secondo lui, senza nessun intervento umano attualmente avremmo avuto temperature in picchiata verso la nuova fase glaciale.
In effetti, guardando l'andamento degli ultimi milioni di anni si nota come il nostro periodo interglaciale si sia andato assestandosi su una linea termica quasi costante (con deboli fluttuazioni come qualla dell'Optimum Medievale o della Piccola Era Glaciale), mentre in passato l'andamento sebrerebbe stato molto meno costante, caratterizzato da oscillazioni estreme e da brevissimi periodi stabili...insomma, come se qualcuno avesse acceso un climatizzatore in grado di controllare la temperatura.
Ma possibile che l'uomo abbia saputo, inconsciamente, "aggiustare" le cose in modo cosí sapiente da mantenersi una temperatura ottimale e da evitare, almeno finora, una nuova glaciazione?
Infine viene affrontato il tema del clima futuro: che cosa succederá quando i combustibili fossili si esauriranno e quando il ciclo glaciale comincerá a predominare sulle modificazioni ambientali apportate dall'uomo? Riuscirá l'uomo a trovare altri modi per mantenere il clima terrestre, questa volta coscentemente, in equilibrio?
Insomma, io resto scettico su questa teoria, ma non nego che ci sia qualche elemento interessante, che in futuro, sicuramente, avremo la possibilitá di approfondire.
Un saluto
Massimiliano